“D al fondo remoto del corridoio lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso”. Di specchi inquietanti la letteratura è piena. Questo in particolare appare nelle prime righe di Tlon, Uqbar, Orbis tertius, il racconto di Jorges Luis Borges che apre Finzioni. Ma perché gli specchi sarebbero mostruosi? Nel racconto di Borges prova a spiegarlo Bioy Casares citando l’aforisma di “uno degli eresiarchi di Uqbar”: “Gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini”.
Oggi Borges (o Casares, o l’eresiarca di Uqbar) agli specchi e alla copula potrebbe aggiungere anche gli specchi neri dei nostri device digitali, anch’essi moltiplicatori di cose e di esseri umani e quindi potenzialmente mostruosi. In buona parte è digitale il Mondo Specchio in cui si avventura Naomi Klein nel suo ultimo libro Doppelganger. A trip into the Mirror World, pubblicato in Italia da La nave di Teseo con il titolo Doppio. Il Mondo Specchio è un labirintico regno fatto di copie e doppelganger, ma soprattutto di distorsioni e deformazioni, proprio come in una casa degli specchi di un luna park. Alla base del saggio di Klein c’è una esperienza autobiografica: un’autentica storia di doppelganger che ha coinvolto l’autrice destabilizzandola e aprendole le porte del Mondo Specchio. L’equivoco è semplice. Molte persone la confondevano con un’altra autrice: Naomi Wolf.
Wolf è un’intellettuale dalla parabola piuttosto bizzarra: punto di riferimento del femminismo liberal dopo il bestseller Il mito della bellezza (1990), figura di spicco dell’intellighenzia democratica anche come consulente di Bill Clinton e Al Gore, a un certo punto è diventata una guru complottista, tra le più influenti promotrici di disinformazione intorno al Covid e ai vaccini, sodale di Steve Bannon e ospite fissa del suo podcast. Le storie di doppelganger (penso a Poe, Dostoevskij, Stevenson, Saramago, Roth) ruotano intorno al sentimento del perturbante, che Freud descriveva come “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. Insomma, il perturbante appare quando ciò che ci è consueto diventa improvvisamente qualcosa di altro e sconosciuto. E dato che nulla ci è tanto familiare quanto noi stessi, il doppelganger è il massimo del perturbante, poiché in quel caso l’altro siamo noi. Un esproprio dell’identità che genera sempre turbamento, rabbia, paura di essere soppiantati.
Klein attinge da questo tipo di narrazioni (letterarie e cinematografiche) per inquadrare la sua stessa vicenda, ma l’aspetto individuale e psicologico che mettono in luce le interessa fino a un certo punto. Anche se questo è il più personale dei suoi libri, mantiene un approccio simil-marxista, per cui l’obbiettivo è trasportare la questione dal piano individuale a quello collettivo. Quindi non tanto il singolo doppelganger, ma il mondo dei doppelganger (il Mondo Specchio, appunto) dove Wolf è una illustre cittadina, quello delle persone che sono cadute nel rabbit hole delle teorie del complotto e che ora vivono in una realtà parallela che è una versione distorta della nostra. Insomma, scrive Klein, “non solo gli individui possono avere un doppio sinistro; anche le nazioni e le culture ne hanno”. Il doppelganger più inquietante è quindi “lo stato pagliaccio fascista, il gemello onnipresente delle democrazie liberali occidentali” che minaccia costantemente di “di inghiottirci nel suo fuoco di appartenenza selettiva e disprezzo feroce” [traduzione mia].
La parola avatar si riferisce alle forme assunte dalle divinità quando discendono sulla terra. Oggi la parola viene usata per indicare le immagini con cui ci identifichiamo nel mondo ‘finto’ del web.
Anche Tlon, Uqbar, Orbis tertius di Borges è un racconto di un mondo parallelo fittizio che finisce per inghiottire e sostituire quello reale. Il mondo fittizio si chiama Tlon ed è stato costruito a tavolino da una società segreta chiamata Orbis tertius. Quando un volume dell’immensa enciclopedia che lo racchiude viene ritrovato attira immediatamente su di sé un grandissimo interesse. Nel racconto il narratore inizialmente ci descrive gli aspetti più particolari di Tlon (come l’assoluta alterità dei suoi linguaggi e delle sue filosofie) come se fossero curiosità letterarie. Segue una postilla (che nella finzione del racconto è stata scritta a qualche anno di distanza) in cui le cose si sono fatte più serie. Il piano originale di Orbis tertius si sta realizzando: dopo che tutti i volumi dell’enciclopedia fittizia sono stati scoperti, Tlon ha iniziato progressivamente a sostituire il vecchio mondo reale.
Nelle ultime righe il narratore dice che “la realtà ha già ceduto in più punti”, infatti ”è già penetrato nelle scuole il linguaggio di Tlon; e l’insegnamento della sua storia armoniosa (e piena di episodi commoventi) ha già obliterato quella che presiedette la mia infanzia […] Sono state riformulate la numismatica, la farmacologia e l’archeologia. Suppongo che la biologia e la matematica attendano anch’esse il loro avatar”. Ovviamente quando Borges usa la parola avatar si sta riferendo al termine della teologia indù che indica le forme assunte dalle divinità quando discendono sulla terra. È però una curiosa coincidenza, dato che oggi la parola viene più spesso usata per indicare le immagini con cui ci identifichiamo in quel mondo “finto” che, come Tlon, tende a sostituirsi a quello reale, cioè il web.
‘Mi dicevo che non ero io a venire confusa con Wolf, ma che i nostri avatar erano stati scambiati per errore’
Se con i social internet è diventato un luogo dove tutti sono costantemente impegnati ad affermare il proprio sé, resta che in rete le identità sono qualcosa di estremamente precario e contendibile (si pensi ai profili fake o hackerati). Anche la sovrapposizione tra Klein e Wolf è qualcosa che nasce e si manifesta sul web e non nella realtà, ed è per questo che inizialmente Klein sottovaluta la cosa:
Venire confusa con Naomi Wolf sembrava solo una cosa da social media. I miei amici e colleghi sapevano chi ero e, quando interagivo con persone che non conoscevo nel mondo fisico, il suo nome non veniva mai fuori; né venivamo scambiate in articoli o recensioni di libri. Ho quindi archiviato la confusione tra le Naomi nella categoria delle “cose accadono su internet e che non sono davvero reali […] Mi dicevo che non ero io a venire confusa con Wolf, ma che i nostri avatar erano stati scambiati per errore”.
Le cose cambiano allo scoppio della pandemia. Intanto perché è il momento in cui Wolf, abbracciando le teorie del Covid e dei vaccini come parte di un piano per sottomettere i popoli al Nuovo Ordine Mondiale, diventa una vera celebrità del Mondo Specchio. Ma soprattutto perché la stagione dei lockdown è stata la fase in cui il mondo esterno è diventato meno reale, mentre quello di internet acquistava maggiore realtà: non si poteva più dire che “le cose che accadono su internet” non sono davvero reali. E il mondo del web, dicevamo, è un mondo che facilita la confusione. Gli aspetti che differenziano Klein e Wolf sono decisivi e molto più numerosi di quelli che le accomunano, eppure diventano sfumature poco importanti nel contesto in cui le persone sono riassunte da un avatar e da due righe di bio. E qui si tocca un altro punto fondamentale del libro. I doppelganger sono anche quelli che tutti noi abbiamo in rete, i nostri simulacri che ci rappresentano nel web. Sia quelli che curiamo attentamente nelle vetrine personali dei social, sia quelli costruiti a nostra insaputa attraverso la miniera di dati che ogni nostra azione mentre siamo collegati genera e che qualcuno estrae.
La serie tv Black Mirror è piena di doppelganger digitali, ma a proposito di questo discorso torna in mente una puntata in particolare: si intitola Torna da me, è il primo episodio della seconda stagione, andato in onda per la prima volta nel 2013. Ash, un giovane con qualche problema di dipendenza dai social, muore improvvisamente in un incidente stradale. Martha, la sua compagna, per superare il lutto si rivolge a un servizio online che consente di “parlare con i defunti”. Lo fa usando le tracce di sé lasciate in rete dalla persona scomparsa. “È un software che simula la persona. Inserisci un nome e il programma lo ricerca all’interno del computer, su internet, sulle pagine facebook, tra i suoi tweet – spiega a Martha l’amica che la convince a provare il servizio – Più cose recupera più assomiglierà ad Ash”. Inizialmente Martha può solo chattare con “l’Ash simulato”, poi inizia a parlarci al telefono. Poi, con un ulteriore upgrade, le viene consegnata anche una “versione fisica” del tutto identica al suo fidanzato morto.
Nella maggior parte dei casi anche ciò che emerge di noi sui social è ‘solo un accenno di ciò che siamo’. Eppure, è condizione ormai comune dedicarsi alla cura di quell’accenno.
A questo punto le cose prendono una piega inquietante: non perché il finto Ash abbia qualcosa di minaccioso (al contrario, è talmente mansueto da risultare irritante) ma perché è perturbante: è familiare come il vecchio Ash, ma non è davvero lui. E non è possibile illudersi del contrario, perché il clone si rivela una imitazione troppo rozza, che del vero Ash riesce a riprodurre solo i tic verbali e gli atteggiamenti superficiali. “Sei solo un accenno di ciò che era lui. Non hai nessuna storia. Sei interprete di qualcosa che faceva senza pensare”, sbotta contro di lui Martha esasperata nella scena madre dell’episodio.
Nella maggior parte dei casi anche ciò che emerge di noi sui social è “solo un accenno di ciò che siamo”. Eppure, è condizione ormai comune dedicarsi alla cura di quell’accenno, a quella copia rozza e superficiale, con impegno e attenzione costante, come se fosse la cosa più importante di noi. È ciò che viene chiamato personal branding. Risulta chiaro a Klein che vedere il proprio nome scambiato con quello di una persona dalle idee tanto discutibili comporti principalmente un danno di immagine. Quello che sta subendo è un caso di “diluizione del marchio e danni al brand”. Una situazione spiacevole, ma alla quale Klein non si può opporre senza imbarazzo, dato che si tratterebbe, per l’autrice di No Logo, di combattere in difesa di un brand, il suo. “Il problema con il mio doppelganger” – scrive – “era la prova definitiva che ero stata bocciata in una delle attività più valorizzate del capitalismo contemporaneo, mantenere e difendere il mio brand”. Ma ciò che dovrebbe essere messo in discussione è “l’idea che gli esseri umani si comportino come marchi aziendali”.
Diventare un brand significa adattarsi alle richieste del proprio pubblico, come fanno gli influencer costretti a produrre contenuti più o meno sempre identici, in un’eterna catena di auto-imitazione.
Se per decenni il self branding è stata una questione che riguardava una ristretta minoranza di persone famose, grazie alle piattaforme social oggi è attività alla portata di tutti e a cui tutti sono incentivati a dedicarsi. C’è chi ha voluto vedere nel personal branding una forma di empowerment, dato che si tratta di smettere di farsi sfruttare dagli altri e cominciare a trarre profitto da se stessi per se stessi. Ma rimane comunque una forma di mercificazione, quindi intrinsecamente alienante, senza contare che quando si vende (anche quando si “vende se stessi”) è sempre valida la regola che “il cliente ha sempre ragione”. Diventare un brand significa necessariamente adattarsi alle richieste del proprio pubblico, come fanno gli influencer costretti, per non perdere la fedeltà dei follower, a produrre contenuti più o meno sempre identici, in un’eterna catena di auto-imitazione. Pure gli influencer complottisti sono diventati tali in virtù di questi meccanismi. Il che spiega la trasformazione di Wolf da membro dell’establishment liberal a compare di Bannon. Caduta in disgrazia nella sua prima incarnazione ha avviato un’efficace campagna di rebranding, individuando un nuovo pubblico e dandogli esattamente ciò che questi gli chiedeva. Il successo così ottenuto l’ha spinta ad assumere posizioni sempre più estremiste. Dal punto di vista della lotta per l’attenzione Wolf ha sicuramente vinto.
Tornando alla letteratura dei doppelganger possiamo dire che la dopamina dei like e dei follower che crescono può essere la pozione che trasforma Dottor Jekyll in Mister Hyde. Del resto, Hyde, nella sua totale malvagità, è anche assolutamente coerente, mentre Jekyll è, come tutti, contraddittorio. E qualunque esperto di marketing confermerà che un marchio è prima di tutto “una promessa di coerenza e affidabilità”. Fare self branding (o per lo meno farlo bene) significa obbligarsi alla coerenza, cioè all’immutabilità, rinunciare ad essere contraddittori, che è come dire rinunciare alla complessità propria di un reale essere umano. Per questo i nostri doppi che vivono nei social possono tutt’al più essere “un accenno di noi”. “Il pericolo più profondo della nostra epoca di esseri umani brandizzati”, scrive Klein, dipende dal fatto che “i marchi non sono costruiti per contenere le nostre moltitudini”. Sono maschere strettissime, eppure siamo sempre più spinti a identificarci con esse.
Tlon è gigantesco, ma in quanto costruito da esseri umani è fatto per essere abbracciato tutto dalla ragione umana. Tlon è irresistibile perché lì tutto torna, non presenta punti oscuri o incomprensibili come il vero mondo.
Anche in questo caso ciò che vale per i singoli vale anche per il collettivo. Se siamo sedotti dalla possibilità di costruirci intorno delle maschere coerenti, possiamo anche incominciare a pretendere che pure il mondo in cui viviamo lo sia. Torniamo ancora una volta a Borges. Ci si potrebbe chiedere come mai nel suo racconto le persone accettino di rinunciare alla realtà e sostituirla con Tlon. Perché Tlon è un mondo totalmente coerente, simmetrico, ordinato. Tlon è gigantesco (la sua descrizione occupa decine di volumi enciclopedici) ma in quanto costruito da esseri umani è fatto per essere abbracciato tutto dalla ragione umana. Tlon è irresistibile perché lì tutto torna, non presenta punti oscuri o incomprensibili come il vero mondo. Insomma, la realtà ha ceduto perché “anelava di cedere”. Infatti, continua Borges “dieci anni fa bastava una qualunque simmetria con apparenza di ordine – il materialismo dialettico, l’antisemitismo, il nazismo – per mandare in estati la gente. Come allora non sottomettersi a Tlon, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato?”.
Si tratta solo di un fugace riferimento ma (insieme a un altro dettaglio: il racconto è ambientato tra il 1937 e il 1947 e tutte le date relative alla progressiva “scoperta di Tlon” corrispondono agli anni della Seconda Guerra mondiale) forse basta a indicare un possibile significato del racconto: Tlon può essere inteso come una metafora delle ideologie totalitarie, che seducono le masse grazie alla loro “simmetria” e “apparenza di ordine”. Il Mondo Specchio è come Tlon: è coerente ed è completamente spiegabile. Ogni cosa che accade trova la sua spiegazione, delirante se vista dall’esterno, ma che dal punto di vista di chi prende per buone le varie teorie del complotto si inserisce armoniosamente in un disegno unitario. E in una fase di molteplici e traumatiche crisi (pandemia, emergenza climatica, erosione del ceto medio, fine dell’egemonia globale dell’occidente) cresce il bisogno di spiegazioni. Nel Mondo Specchio la complessità ingarbugliata, contraddittoria, inesauribile delle cause reali viene sostituita da motivazioni chiare e immediate, che non richiedono ulteriori approfondimenti per essere capite, come l’idea che tutti gli stravolgimenti a cui si sta assistendo derivino dai piani di un gruppo di poche e malvagie persone.
Se il personal branding a livello individuale elimina ‘le nostre moltitudini’, a livello collettivo una visione del mondo altrettanto coerente può reggere solo rifiutando qualunque alterità non prevista dal proprio schema di riferimento.
Ma come avvertiva già Borges, una tendenza simile è implicitamente totalitaria. Perché se il personal branding a livello individuale elimina “le nostre moltitudini” a favore di un marchio coerente, a livello collettivo una visione del mondo altrettanto coerente può reggere solo rifiutando qualunque alterità non prevista dal proprio schema di riferimento. Non per nulla quasi tutti i movimenti complottisti finiscono per essere contigui agli ambienti di estrema destra. Certo, per via di quello che Klein definisce “diagonalismo”, a confluire in questi movimenti ci sono persone con background e orientamenti ideologici molto vari e che a parole rifiutano le tradizionali divisioni tra destra e sinistra; però poi, nei fatti, quasi ovunque sono stati i partiti di destra a trarre profitto sfruttando le loro battaglie.
Nel racconto di Borges non c’è alcun rimedio. Il finale è sconsolato: il narratore pare rattristato pensando alla prospettiva che nel giro di qualche decennio “spariranno dal pianeta l’inglese, il francese e il semplice spagnolo”; tuttavia, dichiara, “io non me ne curo, io continuo a rivedere, nella quiete dell’Hotel de Adroguè, un’indecisa traduzione quevediana (che non penso di dare alle stampe) dell’Urn Burial di Browne”. Insomma, il narratore non fa nulla per salvare il mondo di cui pure piange la perdita. Tlon è un mondo solipsista (tutte le sue dottrine sono di matrice idealistica), ma anche il narratore alla fine si rinchiude nell’individualismo auto-riferito di un’attività intellettuale fine a sé stessa.
Il doppelganger, dunque, può essere la cura all’egocentrismo, quell’io tirannico che spinge al personal branding e a buttarsi nella lotta per l’attenzione.
Klein propone una direzione diversa: la soluzione è proprio abbandonare l’individualismo. L’ultimo capitolo si intitola eloquentemente Unselfing. In tutti i racconti di doppelganger l’incontro con il proprio doppio mette in crisi l’identità dell’originale. Le conseguenze possono essere nefaste (nei racconti letterari e cinematografici di solito lo sono), ma lo shock può anche insegnare qualcosa: che non si è mai unici e speciali come si crede e che siamo meno separati dagli altri di quello che possiamo pensare. Il doppelganger, dunque, può essere la cura all’egocentrismo, quell’io tirannico che spinge al personal branding e a buttarsi nella lotta per l’attenzione. “Quella che era iniziata come una forma di autodifesa (mi riaffermerò come proprietaria delle mie idee, della mia identità, del mio nome!) è diventata, a poco a poco, una forma di auto-liberazione”, scrive Klein che infine dichiara: “sono arrivata ad abbracciare la confusione tra le Naomi come una pratica buddista non convenzionale per annullare l’ego”. Smussare l’ego è la premessa per capire che da soli si può fare poco. Se le crisi della contemporaneità sono il sintomo indubitabile che il mondo deve cambiare e se non si vuole tentare (illusoriamente) di scamparla rifugiandosi in un Mondo Specchio, allora non bastano le azioni di singoli ego isolati e neppure di piccoli gruppi identitari, serve collettività.