N ell’universo narrativo di Dungeons and Dragon, forse il più popolare gioco di role playing sulla faccia della terra, tra le centinaia di creature esistenti è possibile imbattersi in una particolare tipologia che risponde al nome di Night Walkers. I Night Walkers sono delle delle creature dell’ombra, di forma umanoide ma dai contorni evanescenti: la caratteristica principale di questo tipo di creature è quella di essere gli abitatori naturali del buio. Questi abitanti della notte vivono in funzione del male che provocano e che sono capaci di infliggere ai malcapitati che incrociano il loro cammino, nell’inestricabile e piuttosto ovvio connubio fra oscurità e morte. A renderli peculiari è la storia della loro genesi nella narrazione del gioco. I Night Walkers infatti non sono altro che ombre umane, alle quali la volontà e la malignità degli uomini è riuscita a dare forma fisica e concreta. In altri termini si potrebbe dire che questi mostri non sono altro che la materializzazione di un enorme e sedimentato pregiudizio.
Nella storia non di rado pregiudizi e paure ancora senza nome sono stati in grado di dar vita e realtà ad ombre e terrori minacciosi, pericoli percepiti come reali e tangibili in grado di minacciare la vita dei singoli e della comunità, in questo niente affatto diversi da mostri frutto di una fantasia maligna come nel caso dei Night Walkers di D&D. E prima dell’inizio del 1700 il mondo, in particolare l’Europa, era un luogo decisamente più buio e pericoloso. In questo contesto storico, la notte come fenomeno naturale regolava rigidamente tutti i ritmi e le usanze, attraversando in modo trasversale gerarchie e classi sociali.
Dalle campagne rurali alle più importanti città dell’epoca come Vienna, Parigi, Amsterdam, Lipsia, Torino e Berlino, la notte poneva il limite oggettivo rispetto al controllo, all’amministrazione e allo sviluppo delle società umane. Simbolo negativo per eccellenza, era in grado di esercitare un’enorme influenza sulle attività svolte alla luce del giorno aiutando la società a separare in modo puntuale i suoi elementi: vivere di notte, o anche solo trovarsi sveglio dopo il calar del sole equivaleva automaticamente a passare dalla parte dei poco di buono, dei banditi e delle prostitute, dei giovani e dei ribelli.
Chiamati non a caso nightwalkers in modo dispregiativo, gli abitanti della notte erano coloro che all’inizio dell’età moderna la necessità e la pressante moralità protestante avevano sospinto nel buio, lontano dalla vista delle persone rispettabili, escluso dalle reti economiche delle città. Proprio come nell’esempio fornito dall’immaginario fantastico quindi, la sedimentazione crescente di pregiudizi, paure e risentimento verso chi osava vivere la propria vita dopo il calar del sole, aveva contribuito alla nascita di queste figure abitatrici della notte, sulla quale venivano traslati automaticamente tutti i mali della società dell’epoca. La notte, come i Night Walkers, aveva dei contorni eterei, sfuggenti, in grado però di prendere corpo e definizione in relazione alla paura e alla mania di controllo delle società dell’epoca.
All’inizio dell’età moderna gli abitanti della notte erano stati spinti dalla necessità e dalla moralità protestante nel buio, lontano dalla vista delle persone rispettabili, esclusi dalle reti economiche delle città.
Nella prima età moderna, all’interno di quella che lo storico Bryan D. Palmer ha definito come cultures of darkness, coabitavano una miriade di soggetti e di identità variabili, create e unite di volta in volta unicamente dal desiderio, dalla necessità o anche solamente dalla comune volontà di riappropriarsi di uno spazio e di una dimensione speculare a quella del giorno, libera dalle sue rigide gerarchie. Un intero ecosistema umano quindi, capace di sovvertire in modo deciso anche se solo per la durata di una notte, le limitazioni di genere, razza e classe.
In questa logica è possibile leggere i numerosi resoconti dell’epoca in cui si parla del popolo, rozzo e rumoroso, che è solito radunarsi a notte fonda per festeggiare la fine di un altro duro giorno e lasciarsi alle spalle una giornata di fatica; delle prostitute, molte volte autorganizzate in vere proprie congreghe di mestiere, uniche donne in grado di vivere liberamente (se pur nella più totale indigenza) le ore notturne. O ancora in questa chiave possono essere lette le scorribande giovanili: veri e propri branchi di giovanissimi il più delle volte ubriachi e violenti, terrore di preti e mercanti, che imperversavano dal tramonto all’alba per i centri cittadini. Come nei Guerrieri della Notte, film culto degli anni 80’ diretto da Walter Hill, le bande di giovani attraversavano le strade delle città, che al calar del sole divenivano terra di esplorazione e in alcuni casi di conquista. In questo quadro non è difficile trovare le similitudini che uniscono questa dimensione a quella della contemporaneità: oggi non si parlerebbe di taverne e locande ma di club e piazze, forse non di bande ma di moltitudini, sciami in movimento che reclamano per sé il contesto urbano.Una notte viva e ribelle, a tratti violenta ma abitata e vissuta in tutte le sue contraddizioni.
All’inizio del diciottesimo secolo si assiste invece a un radicale cambio di paradigma, un passaggio allo stesso tempo di tipo pratico e simbolico. L’ascesa dell’arte barocca con le sue luci, le sue ombre e il suo uso dei colori, dedita all’esplorazione della soglia tra luce e tenebra, è l’effetto di un processo preciso: le corti, i palazzi del potere e i suoi abitanti si dirigono verso una nuova forma di colonizzazione simbolica del tutto inedita fino ad allora. È in quel preciso momento storico che inizia quel processo che Koslofsky chiama notturnalizzazione: una progressiva domesticazione delle ore notturne, un progressivo spostamento della vita sociale, cortigiana e poi borghese verso la notte e verso quella dimensione notturna per secoli considerata antitesi di ogni forma di sana e rispettabile socialità.
La domesticazione delle ore notturne consistente in uno spostamento della vita cortigiana e poi borghese verso quella dimensione notturna per secoli considerata antitesi di ogni forma di sana e rispettabile socialità.
Il 1700 è il secolo dei grandi balli di corte, delle feste fino all’alba, delle masquerade e dei fuochi d’artificio. L’aristocrazia settecentesca, in particolare quella francese raccolta intorno alla figura carismatica di Luigi XIV, il Re Sole, guida una nuova forma di colonizzazione verso quello spazio notturno che per tradizione era da sempre appartenuto alle classi più povere, l’ultimo vero spazio di libertà per i subalterni. In questa nuovo modo di intendere la notte l’Europa aristocratica trova la spinta per rinsaldare i vecchi pregiudizi legati al sesso, alla razza e alla classe, legandoli ad un nuovo modo di vivere il piacere e la dimensione del divertimento, in grado di separare in modo ancor più netto la moralità dei principi da quella del volgo. Il divertimento del popolo, che sia rave, clubbing o free party non è tollerato in quanto simbolo di degenerazione: l’unica degenerazione accettabile è quella che avviene nei palazzi del potere.
Come ogni colonizzazione, anche quella della notte passa attraverso la violenza e i rapporti di forza. La notte dei principi e dei Re non può coesistere con quella di contadini e banditi; c’è bisogno di dividere, di isolare e delimitare i rispettivi territori. È in quest’ottica che si assiste alla nascita della notte con le caratteristiche che saranno quelle tipiche della modernità: la notte deve essere pacificata, controllata, mai libera se non per chi può permettersela a livello economico e sociale. In questo importante passaggio avviene il tentativo di regolamentare le ore notturne attraverso decreti regi, operazioni poliziesche, istituzione di corpi di vigilantes in servizio unicamente dall’alba al tramonto, nightwatchers, incaricati di portare la disciplina e l’ordine in quella che era stata la selvaggia notte popolare. Tornano in auge pratiche tipicamente medievali come quella del coprifuoco forzato, sanzioni e carcerazioni per chi è trovato a vagare a notte fonda.
Sull’onda di questa nuova volontà normalizzatrice che accomuna le corti più importanti d’Europa fa la sua comparsa quello che sarà il dispositivo di controllo per eccellenza: l’illuminazione notturna delle strade. Dopo vari tentativi più o meno riusciti datati dal 1660 in poi, all’inizio del 1700 le strade di capitali come Parigi, Amsterdam, Vienna, Berlino e molte altre vengono dotate di impianti di illuminazione funzionali. Il simbolismo politico delle corti barocche è evidente: illuminando le strade si può celebrare il potere e allo stesso tempo stabilire nuovi livelli di assolutezza nel controllo e nella domesticazione dello spazio e del tempo urbano.
Parlare di colonizzazione in rapporto alla nascita del concetto moderno di notte permette di far luce sulle assonanze determinati che il fenomeno della notturnalizzazione mostra nei confronti della dinamica coloniale, contribuendo a descrivere questo fondamentale passaggio in termini ancora più precisi. Perché si possa parlare di colonizzazione devono essere presenti determinati fattori, su tutti la presenza di un territorio esterno già prevalentemente abitato, vissuto da popolazioni autoctone che ne comprendono e ne vivono a pieno le dinamiche; dopo di ché è necessario un potere evangelizzatore, una forza violenta che si ponga in contrapposizione con le popolazioni indigene con il fine ultimo di imporre il proprio ordine materiale e simbolico, sostituendosi all’ordine precedentemente vigente. La retorica segnata da termini come progresso, evoluzione e sicurezza è il corollario necessario per ogni pratica colonizzatrice.
Le rivolte contro l’illuminazione delle strade nel Settecento sono un fenomeno endemico, in cui studenti, braccianti, prostitute, criminali e semplici cittadini si scontrano con le guardie regie.
In ciò la notte non fa eccezione: contemporaneamente all’illuminazione stradale diffusa, i resoconti dell’epoca mostrano l’enorme sforzo messo in atto dai centri del potere politico per giustificare e sostenere a livello etico, morale e politico questa nuova pratica di espropriazione. La notte comincia a venir descritta puntualmente come frontiera pericolosa da dominare, come naturale terreno d’espansione della tanto decantata società civile.
Tuttavia nonostante la persuasività di questa narrazione, capace di far leva sulla neonata forza della tecnica e sul potente immaginario illuminista legato al mito del progresso, la notturnalizzazione dovrà attendere almeno un altro secolo per dirsi conclusa con successo: il 700’ sarà infatti ancora un campo di battaglia e di resistenza, terreno di pratiche di autodifesa e riappropriazione dal basso. Le rivolte contro l’illuminazione delle strade saranno un fenomeno endemico, diffuso nell’arco di tutto il diciottesimo secolo trasversalmente in tutto il territorio europeo, con picchi di violenza come l’insurrezione di Vienna nel 1706, in cui studenti, braccianti, prostitute, criminali e semplici cittadini diedero vita ad una serie di scontri con le guardie regie che portarono alla distruzione di ben 300 lanterne stradali, dal costo enorme per le municipalità dell’epoca, e all’uccisione di sette persone fra i rivoltosi.
Se dunque all’interno della società civile, delle corti e dei centri mercantili il passaggio al paradigma notturno non incontrerà particolari resistenze, nei dedali delle città, nei piccoli villaggi, nelle campagne e in genere in tutti i luoghi a maggioranza abitati dalle classi meno abbienti, il processo di espropriazione della notte vedrà significative forme di resistenza, in grado di formare reti e configurarsi in alleanze trasversali fra genere e classe per lo più impensabili per l’epoca. Il quadro che emerge da questo passaggio storico è di nuovo monito per la dimensione contemporanea: la battaglia per l’anima della notte è sempre in divenire, un terreno di scontro nel cuore della società civile, dove le forze normatrici si oppongono in vari modi, a volte duramente, a quelle per l’emancipazione e l’autodeterminazione.