

N el Mar Mediterraneo ci sono migliaia di piccole isole, almeno 3.000, ma qualcuno ne stima anche 10.000, in base alla definizione di isola. Molte di queste sono troppo piccole per essere abitate, ma sono preziosi luoghi di nidificazione per gli uccelli marini, tra cui soprattutto tre specie di procellarie, la berta minore mediterranea, la berta maggiore e l’uccello delle tempeste mediterraneo e altre specie rare come il marangone dal ciuffo o il gabbiano corso. Tra queste specie la più minacciata è senza dubbio la berta minore, un uccello iconico del Mediterraneo celebrata anche da Giovanni Pascoli nella sua poesia I puffini dell’Adriatico.
Sfortunatamente questi uccelli sono esposti a svariate minacce. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN, International Union for the Conservation of Nature), per esempio, il principale fattore di rischio per la berta minore è la “morte dovuta a catture accidentali durante le attività di pesca commerciali o artigianali”. Una ricerca eseguita nelle isole francesi del Mediterraneo e a Malta dimostra che la morte accidentale dovuta all’impigliarsi nelle reti da pesca è davvero un fattore critico per la sopravvivenza di questa specie, dato che a Malta la mortalità degli adulti era massima durante la stagione non riproduttiva, quando gli uccelli sono in mare a nutrirsi, e la sopravvivenza degli adulti nei territori francesi rimaneva bassa anche dopo aver rimosso i gatti dalle isole.
Altre cause di mortalità delle berte sono costituite, sempre secondo la IUCN, dalla predazione a opera di specie invasive come ratti e gatti; dall’eccessivo prelievo di pesce durante la pesca, che depaupera i mari e lascia senza cibo gli animali che si nutrono di acciughe o altri piccoli pesci; dalla persecuzione diretta, soprattutto a Malta, dove si spara ancora alle procellarie; dal turismo crescente e dall’urbanizzazione delle coste dove gli animali nidificano; dalle luci e dai rumori notturni, che confondono gli uccelli; dall’inquinamento, soprattutto da plastica e da versamenti di petrolio in mare, incrementato dal traffico marino sempre più intenso e dagli scontri con le turbine eoliche. Anche i recenti cambiamenti climatici potrebbero costituire un pericolo a causa dell’aumento delle piogge torrentizie sulle scogliere verticali dove le berte minori nidificano. Dato che le procellarie vivono molto a lungo e hanno un basso tasso riproduttivo, gli esemplari morti vengono sostituiti dalle nuove generazioni solo molto lentamente e con difficoltà.
In Italia, fattori di rischio come le catture accidentali nelle reti da pesca, l’eccesso di prelievo di pesce, la persecuzione diretta, l’urbanizzazione delle coste sono stati completamente ignorati.
Questo puntare su ratti e gatti come principale fattore di declino, in Italia, si riflette sulle azioni di conservazione adottate per proteggere le berte minori e gli altri uccelli mediterranei a rischio. Dal 1998 al 2024 otto progetti LIFE europei sono stati messi in atto nelle isole minori italiane, tutti concentrati sulla eradicazione dei ratti, mentre altri fattori di rischio come la cattura accidentale nelle reti da pesca, l’eccesso di prelievo di pesce, la persecuzione diretta, l’urbanizzazione delle coste sono stati completamente ignorati. I progetti hanno coinvolto le isole dell’Arcipelago Toscano, le isole Pontine e le isole Tremiti. Inoltre è ancora in corso il progetto LIFE Tetide, esteso tra Italia (Palmarola), Francia e Croazia. Nel complesso i progetti italiani con la finalità della derattizzazione sono costati ai contribuenti europei circa 14 milioni di euro, senza contare i progetti finanziati diversamente. Molti di questi si riproponevano anche di rimuovere specie vegetali alloctone, ma sulle isole di Montecristo e Giannutri il processo ha coinvolto altresì la gestione di una razza di capra introdotta in tempi preromani e strettamente imparentata con la capra selvatica, Capra aegagrus. Non tutte le derattizzazioni hanno avuto successo, e non tutte le specie alloctone sono state rimosse. Se si confrontano questi con altri progetti europei, si nota altrove una maggiore attenzione a una protezione integrata dell’ecosistema, per esempio costruendo passerelle per evitare il disturbo da parte dei turisti, la ripiantumazione di specie vegetali importanti, la riduzione delle luci costiere e anche il monitoraggio dell’impatto dei pescherecci. Il fatto che in Italia vengano approvati progetti che ignorano totalmente i fattori di rischio antropici è curioso. Ma c’è dell’altro.
Il Brodifacoum è molto tossico per gli uccelli, anche se ciascuna specie tollera una dose differente, e quindi il rischio di avvelenare proprio le specie che si vogliono proteggere è molto alto.
Il Brodifacoum, inoltre, è molto tossico per gli uccelli, anche se ciascuna specie tollera una dose differente, e quindi il rischio di avvelenare proprio le specie che si vogliono proteggere è molto alto, soprattutto per i rapaci che si nutrono di roditori. Un caso di studio interessante è l’isola di Montecristo, dove nel 2010 è iniziato un progetto LIFE volto alla salvaguardia delle berte minori e al risanamento ambientale tramite l’eradicazione delle specie alloctone, soprattutto i ratti neri, i conigli selvatici e l’ailanto. Secondo uno studio condotto da Rosario Fico, presidente della Società italiana di scienze forensi veterinarie, “Nei mesi di gennaio e febbraio 2012 furono effettuati due lanci da elicottero sull’intera superficie dell’isola con la dispersione di circa 14.000 chilogrammi di pellets contenenti Brodifacoum (in media 10,3 kg per ettaro), a eccezione di un’area ristretta di circa 30 ettari, comprendente la zona abitata di Cala Maestra, ove il pellet era stato distribuito attraverso appositi contenitori”. In breve, l’intera isola è stata cosparsa di esche a base di veleno anticoagulante. Vista la conformazione dell’isola, un cono con pareti molto scoscese, è logico pensare che parte di queste esche siano scivolate in mare. La notizia della dispersione di pellets sull’Isola di Montecristo suscitò numerose proteste da parte di associazioni animaliste e di privati, preoccupati per la tossicità ambientale del Brodifacoum, che sfociarono in segnalazioni alla magistratura e persino interrogazioni parlamentari. Il Centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria, consultato dal ministero della Salute, confermò il sospetto della persistente tossicità ambientale del Brodifacoum; essendo stato violato l’art. 6 dell’ordinanza ministeriale in vigore, lo stesso ministero passò il fascicolo alla magistratura per provvedimenti sanzionatori nei confronti dei responsabili del progetto.
La pericolosità del Brodifacoum su specie non-target è nota da decenni, ci si chiede allora come mai si continui a voler agire con queste modalità, concentrandosi inoltre solo sull’eliminazione dei ratti invece che su un generale risanamento ambientale.
Se sulle berte non abbiamo dati, ne abbiamo tuttavia per altre specie, per esempio sul gabbiano reale, sempre a Montecristo. Nel 2010, prima degli interventi descritti, se ne censivano 1800 coppie nidificanti, diventate 1000 nel 2011, 600 nel 2012 e, dopo la dispersione aerea di pellets con Brodifacoum, rimanevano solo 300 coppie. Sembra quindi che il declino di questa specie non sia stato fermato dall’eliminazione dei ratti ma sia da ascriversi ad altre cause non chiarite. Dopo l’intervento di eradicazione, inoltre, sono scomparse le due coppie di corvo imperiale precedentemente censite. Sugli organismi marini abbiamo pochi dati, ma lo spiaggiamento di massa di 122 delfini, avvenuto circa un anno dopo lo spargimento di tossine a Montecristo, è compatibile con una intossicazione subletale da Brodifacoum. Purtroppo, ancora una volta, mancano dati certi in quanto gli esami tossicologici effettuati sui delfini non includevano la ricerca di anticoagulanti nei tessuti. “Tuttavia” dice Rosario Fico “sui cetacei dove è stato possibile effettuare gli esami istopatologici, è stata diagnosticata un’infiammazione cronica di molti organi, una compromissione del sistema immunitario associata ad un’eccezionale carica parassitaria nonché uno shock settico causato da una inconsueta presenza di patogeni”. Questi sintomi sono stati attribuiti al virus del morbillo dei cetacei e a residui di pesticidi, ma sarebbe stato interessante, dato il meccanismo di azione degli anticoagulanti di seconda generazione, ricercare anche la presenza del Brodifacoum. Dato che la pericolosità del Brodifacoum su specie non-target è nota da decenni, ci si chiede come mai si continui a voler agire con queste modalità, concentrandosi inoltre solo sull’eliminazione dei ratti invece che su un generale risanamento ambientale che limiti i disturbi antropici.
Se davvero si vuole proteggere la specie, è allarmante che non ci siano interventi mirati a ridurre il principale fattore di rischio, ovvero le onnipresenti reti da pesca.
Pochi mesi dopo l’intervento con gli anticoagulanti, mi sono trovata a fare una gita in barca alle isole Tremiti. Come turista, ho trovato piuttosto disturbante vedere i corpi intatti di diversi gabbiani reali morti in acqua. I decessi sono stati attribuiti al Brodifacoum dai veterinari a cui ho mostrato le foto. D’altro canto, malgrado i divieti, ho anche notato un pesante disturbo umano da parte di turisti che entravano nelle grotte che ospitano i siti di nidificazione delle berte minori. Le pareti di queste isole, inoltre, sono pressoché verticali, ed è difficile immaginare che un gatto o un ratto possa arrivare agli inaccessibili nidi degli uccelli marini.
Alla luce di ciò risulta chiaro che problematiche come quelle affrontare richiedono risposte articolate, e spargere veleno non sembra essere quella giusta. Ma quanto descritto lascia anche altri interrogativi, a partire dalle motivazioni che spingono l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) a non monitorare con censimenti ad hoc la densità delle specie target e non target prima e dopo l’intervento. Se questi censimenti vengono invece effettuati, ci si aspetterebbe la pubblicazione dei risultati, in modo che anche il pubblico possa capire se questi interventi siano efficaci o se, come Rosario Fico e molti altri pensano, siano al contrario nocivi per l’ecosistema che si sta cercando di proteggere. Se davvero si vuole proteggere la specie, è allarmante che non ci siano interventi mirati a ridurre il principale fattore di rischio, ovvero le onnipresenti reti da pesca. E non da ultimo, una seria questione di salute pubblica: se i lupi si intossicano con gli anticoagulanti, quante probabilità abbiamo noi umani di intossicarci a nostra volta, mangiando pesce contaminato con il Brodifacoum?
Cittadini e appassionati di conservazione meriterebbero delle risposte a questi interrogativi. D’altro canto, altri interventi di risanamento sono possibili, come ci mostrano gli altri Paesi europei, ma richiedono il coinvolgimento della politica e azioni di lobby per ridurre l’impatto della pesca e la distruzione dell’ambiente costiero. Sfortunatamente queste azioni sono invise ad alcune categorie e di conseguenza alla politica, perché l’ennesimo hotel sulla costiera ligure offre un vantaggio più immediato di un nido di berte. La ricerca è un fattore chiave per trovare fattori che mitighino il declino delle specie a rischio, ma è necessario anche il coinvolgimento dei cittadini, che dovrebbero essere educati a pensare all’estinzione di una specie come a un evento drammatico e non come a una ossessione da animalisti. Sarebbe inoltre strategicamente importante la trasparenza sui metodi usati e sui risultati ottenuti, per ottenere il giusto equilibrio che protegga sia gli uccelli a rischio e i loro ecosistemi, sia gli interessi della popolazione umana.