I l 2023 è un anno in cui, oggettivamente, si stanno celebrando anniversari di diversi “disconi”, opere che nel bene e nel male hanno fatto la storia. Ad esempio The Dark Side of the Moon ha compiuto cinquant’anni ed è già partito un tour di ascolto ufficiale in giro per l’Italia dove sarà trasmessa in alta fedeltà una nuova versione rimasterizzata dell’album. E tutto ciò avviene proprio nel periodo in cui si celebrerà – udite udite – il trentennale di In Utero dei Nirvana, la cui “super deluxe edition” è in uscita a ottobre. I due gruppi sulla carta sono agli antipodi, ma potrebbe essere che questi eventi incrociati non siano casuali: In Utero e The Dark Side of the Moon sono in in certo senso due “salti nel buio” di un sentire transgenerazionale. Esiste quindi un “The Dark Side of In Utero”? Per noi sì, e in questa sede provvederemo a portare avanti questa – per quanto ardita – suggestiva tesi.
Innanzitutto In Utero ha un suono peculiarissimo che all’epoca, sebbene riconducibile all’ondata alternative, sembrava impossibile perché teneva i piedi in due scarpe: era comunque più polite delle produzioni underground alle quali voleva rivolgersi, ma pure aggressivo come non mai rispetto alle produzioni commerciali. Nevermind – l’album che ha dato la fama ai Nirvana – era invece un disco pop nel senso buono – ma classico – del termine, che dal punto di vista sonoro non è molto diverso da dischi già usciti negli ottanta, sicuramente più estremi. Metti i Chrome di Blood on the Moon (che i Nirvana alla fine plagiano esplicitamente nei riff), o i Wipers di This is Real?, album che suona praticamente identico a Nevermind, soprattutto per le chitarre, per non parlare del riff di “Come as you are” fregato ai Killing Joke. Insomma la tanto sbandierata influenza che ha potuto avere Nevermind sulle produzioni rock successive è quasi un falso storico (in effetti chi ha mai più sentito chitarre distorte col chorus?): è invece più facile ascoltare produzioni che tentano di avvicinarsi a In Utero, soprattutto quando si affaccia il nu metal sulla scena e tutte le varie diramazioni alternative del caso – e sarà anche un punto di riferimento assoluto per i giovani rockers che imbracceranno gli strumenti proprio in quegli anni.
In Utero nasce con l’idea di mettersi alle spalle il fin troppo codificato Nevermind, ed è per questo che Cobain pensa di affidarsi a Steve Albini, che all’epoca è quasi un nuovo Alan Parson “al contrario”. Come i Pink Floyd, i Nirvana si affidano a un innovatore del concetto di registrazione nel tentativo di dare colore alla propria musica che stava diventando sempre più un cliché: i Floyd infatti, prima della svolta di Dark Side, erano stati quasi surclassati dai loro cloni, diventando quasi “prevedibili” nelle loro mosse sonore. Se Alan Parson portava l’attrezzatura analogica a un suono dal sapore protodigitale per elevare gli spunti dei Floyd del Dark Side a capolavoro in un periodo in cui la tecnologia che usava lui era fantascienza, Albini fa l’opposto solo in apparenza, inventando un suono meno moderno, ma in realtà cova lo stesso, medesimo spirito: perché nel ‘93 i tempi sono cambiati, lo “spazio” è da ricercare dentro una cameretta, dentro di sé e non nell’ utopia di un astronave: sono tempi in cui si insegue la sporcizia perché questa è la risposta a un progressivo fraintendimento del concetto di Hi Fi fino ad allora avallato, fatto di fredda precisione. Perché Albini non è poi così lo-fi: la sua originale intuizione è quella di registrare l’ambiente con una gran quantità di microfoni, usati proprio per la loro “personalità”, e fare leva sulle imperfezioni per ottenere un suono iperrealista e potentissimo, come se l’ascoltatore avesse di fronte la band al posto che due speaker.
Non c’è quindi solo potenza in In Utero, c’è proprio una qualità spaziale nel disco (e intendiamo spaziale anche nel senso di “astrale”): c’è un respiro sonoro che è contenitore di asteroidi, pianeti, meteoriti, materia cruda che ti arriva in fronte all’interno del vuoto. Come Alan Parson, anche Steve Albini fu insoddisfatto dei mix finali: perché i Nirvana fecero una scelta diciamo “democristiana” facendo remissare alcuni brani a Scott Litt produttore dei REM: questo perché a loro dire il basso e la voce si sentivano poco, erano troppo indietro, eccetera. Era chiaramente proprio quello che Albini voleva si sentisse: e non a caso dopo questa produzione il nostro avrà molta difficoltà a lavorare in ambito mainstream, e possiamo dire che In Utero gli ha praticamente rovinato la carriera.
The Dark Side è un disco che è lo specchio della nevrosi di un gruppo che si rende conto di aver preso una strada sbagliata, ma la produzione salva tutto.
Con The Dark Side of the Moon Alan Parson ha invece trovato un suono che non gli è più uscito fuori neanche per scherzo, e la cosa non è meno frustrante, anzi è totalmente stigmatizzante. Altro parallelismo con Dark Side è il fatto che, per quanto i Nirvana volessero fare i duri, le canzoni per quanto riguarda la composizione schietta sono forse ancora più semplici e leggere di quelle di Nevermind. Ascoltandolo bene è facile trovare la cellula melodica anche nel brano più gridato o con velleità hardcore: e quando invece ci troviamo in zona ballate, brani come “Dumb” sembrano deboli outtakes del disco precedente, di cui ricalcano il discorso paro paro. Difficile dire che sia un disco ispirato, quanto diciamo “disperato” nel dover dire qualcosa: come se si stesse facendo uno sforzo nevrotico per rimanere se stessi senza disintegrarsi. Stessa cosa accade con The Dark Side: i brani di quel disco non possono dirsi musicalmente geniali, ma ad ogni modo sono talmente basici da catturare l’ascoltatore, e in quello sta la forza del disco: molte idee sono tra l’altro riciclate ed estrapolate da precedenti prove del complesso, rivelando che forse la vena si era già prosciugata anni prima, dopo la dipartita di Barrett: The Dark Side è un disco che è lo specchio della nevrosi di un gruppo che si rende conto di aver preso una strada sbagliata, ma la produzione salva tutto: così come quella di In Utero, che allo stesso modo riesce a rendere credibili spunti musicali fragili e quindi a rischio, trasformandoli in anthem ( vedi “Radio Friendly Unit Shifter”, insuperabile in questo senso) anche se si sta grattando il fondo del barile.
Il tema di Dark Dide è l’alienazione, la follia: la schizopatia di chi è popolare ma con l’anima persa in un pagliaio di contraddizioni, di chi è consapevole di barare nei confronti del pubblico. E a questo proposito non dimentichiamoci delle liriche: i testi del famoso album dei Pink Floyd sono i primi in cui si dicono le cose in maniera diretta. C’è una focalizzazione maggiore su un tema che allo stesso tempo è universale quanto autobiografico: In Utero viaggia sulle stesse frequenze, poiché è il primo disco in cui Cobain scrive dei testi d’ impatto, più chiari, rinuncia a taglia e incolla naif per andare al sodo sviluppando anche temi universali per la prima volta, come succede in “Rape Me” o in “All Apologies”, che sembra quasi la “Us and Them” dei Nirvana.
Nonostante Cobain nelle interviste dell’epoca lo dipingesse come un album “impersonale” gettando fumo negli occhi a tutti, In Utero è pieno di riferimenti alla sfera privata del cantante, descrivendo perfettamente il caos in cui si trovava e che lo porterà poi al suicidio. Paragonati da questo punto di vista, i due lavori sono sicuramente retti da una forte vena autobiografica che compensa tutto il resto e della quale condividono la cupezza di una vita piena di fantasmi (nel caso di Waters ovviamente quelli che circondano la morte prematura del padre, e anche nel caso di Cobain c’è l’assenza del genitore, uno dei fattori scatenanti della sua dipendenza da eroina).
Nel successo di questi album fallace si nasconde un’ombra che sa di resa, il passaggio generazionale di una storia che si ripete.
Vero, The Dark Side ha i famosi “effetti speciali” che ancora oggi gli danno lustro, ma anche In Utero nonostante l’assetto rock da power trio possiede la caratteristica di avere un suono che è effetto speciale di per sé. Ad esempio, per riprodurre il suono della chitarra di Cobain continuano ancora a scornarsi sui forum, con chi dice che ha trovato la combinazione giusta e chi invece brancola nel buio (nel disco i Nirvana lanciano indizi falsi sul setup, che viene sì indicato come a voler divulgarlo ai fans ma pare si tratti della versione live): ad ogni modo fa discutere il fatto che tutto quel magma potesse nascere solo da un ampli Fender e da un pedale Distortion della Boss: l’ingrediente segreto non lo sa ancora nessuno se non chi ha davvero lavorato all’ album, e senza dubbio quel sound ha caratterizzato tutto il disco (in Dark side of the moon ancora si chiedono, per fare una comparazione, come hanno fatto a mettere in loop il suono delle monete).
Poi ci sono le copertina che hanno creato il mito: Dark Side of the Moon è diventata talmente popolare che è praticamente un santino, quella di In Utero è considerata una delle più iconiche del rock e riesce ad ottenere un impatto diretto tra complessità e semplicità, tanto da diventare un simbolo esistenziale anche a ragione della morte di Cobain. Da una parte un prisma nero che riflette i colori, dall’altra un modello anatomico femminile con due ali dietro la schiena del quale sono mostrate le interiora, ma l’anima rimane ben segreta e irriproducibile: sintesi perfette dell’insondabile, due misteri gaudiosi del cui vero significato ancora si discute. E fa specie rendersi conto che nel momento in cui Cobain muore, i Pink Floyd recuperano terreno tra i kids: tanto che nel 1994 per il tour di Division Bell la generazione grunge si prenderà i posti migliori per vederli proprio eseguire interamente The Dark Side of the Moon: paradossalmente, i Nirvana lasciano il testimone proprio a loro. E anche qui non è un caso, in quanto Cobain dichiarerà di essere un grande fan di The Dark Side e di averlo sentito a rotazione in tenera età, nella macchina della zia, rimanendone folgorato. Sarà che di base sono due band a cui piace “rubare”: nel caso dei Nirvana rubarono il nome alla pop band psichedelica inglese omonima, nel caso dei Pink Floyd rubarono il titolo di Dark Side of the Moon all’album dei Medicine Head aggiungendo solo un “the” per non dare nell’occhio.
In ambo i casi hanno in primis rubato l’anima a noi, e questo fa in modo che siano due dischi, se non enormi, difficilmente ignorabili. Deboli o meno, sono entrati nel cuore e hanno venduto da pazzi: certo The Dark Side ha venduto ininterrottamente dal 1973 al 1988, mentre In Utero si è fermato al quinto platino, ma a noi interessa il valore artistico, non quello commerciale. Infine, stringi stringi, il successo di questi due album è completamente fallace: rimane dentro di essi un’ombra che sa di resa, è un passaggio generazionale di una storia che si ripete. Cobain esclama in “Serve the servants” , “Now i’m bored and old” , e gli fa eco Waters in “Us and Them”: “And after all / we’re only ordinary men”.