N ell’articolo Film Bodies: Gender, Genre and Excess (1991) Linda Williams definisce body genres quei generi cinematografici basati sullo stimolo di reazioni fisiche nel corpo di spettatrici e spettatori. Si tratta dello spavento (horror), dell’eccitazione sessuale (pornografia) e del pianto (melodrama). Ad accomunare questi generi sarebbe una forma di “manipolazione”, “un’apparente mancanza della giusta distanza estetica, un senso di iper-coinvolgimento sensoriale ed emozionale”. I corpi di chi fruisce questi film sarebbero coinvolti in una “imitazione involontaria” delle emozioni e sensazioni provate dai corpi sullo schermo.
Nel 2016, la produttrice radiofonica Eleanor McDowall si è domandata quale fosse il corrispettivo dei body genres nella narrazione sonora (radio, podcast e altri formati di audio storytelling). Quali sono le opere sonore che coinvolgono il corpo della persona in ascolto – che non si limitano a parlare di reazioni corporee, ma effettivamente le provocano?
Quali sono le opere sonore che coinvolgono il corpo della persona in ascolto – che non si limitano a parlare di reazioni corporee, ma effettivamente le provocano?
Alle reazioni citate da Linda Williams si potrebbe aggiungere la voglia di ballare, a cui McDowall dice di essersi ispirata quando ha prodotto A Dancer Dies Twice, un documentario sonoro sul rapporto fra danza e invecchiamento, “fra identità e fisicità, sulla separazione fra la nostra interiorità e la sua rappresentazione esterna”. Il documentario comprende una lunga sequenza in cui le voci di varie danzatrici sono montate sui battiti di una musica molto ritmata, che termina all’improvviso col rumore di uno strappo, quando una delle protagoniste racconta della rottura dei suoi legamenti del ginocchio durante una performance. “Volevo che l’ascolto di questo lavoro fosse un’esperienza molto fisica”, racconta Eleanor McDowall (anche fondatrice della piattaforma Radio Atlas).
Un percorso di opere audio che agiscono sul corpo superando le “articolazioni codificate del linguaggio” (Williams), potrebbe iniziare dal rapporto fra narrazione sonora e coreografia. McDowall cita come esempio il brano che il coreografo Hofesh Shechter ha creato nel 2011 per Everyday Moments, una serie in podcast commissionata dal Guardian. Rivolgendosi direttamente a chi ascolta, la voce di Shechter descrive una serie di sensazioni corporee molto precise, legate a dei movimenti che siamo invitati a compiere – o a immaginare:
Pensa al tuo corpo. Non pensare a me. Pensa al tuo corpo. Senti il tuo corpo leggerissimo, vuoto. Come un sacchetto di plastica vuoto. Comincia a muoversi, tanto è leggero e vuoto. Ogni minuscolo movimento dell’aria ha un effetto sul tuo corpo, tanto è leggero e vuoto, come un sacchetto di plastica vuoto. Tremola, comincia a spostarsi, fluttua.
La coreografa Paola Bianchi compie un’operazione simile nel suo “progetto di danza verbale” NoBody (2015). In questo caso, però, il soggetto in ascolto è invitato ad assumere la posizione del pubblico. La voce di Bianchi descrive minuziosamente ogni movimento eseguito da un corpo femminile su un palco, compresi abbigliamento, oggetti e luci di scena:
La figura si ferma di fronte a noi. I talloni vicini, le punte dei piedi leggermente aperte. Ci guarda. Il braccio destro si apre laterale in diagonale bassa, mostrando il palmo della mano. La mano destra fa il numero tre con pugno chiuso, pollice, indice e medio tesi. Il collo è in tensione, così come le spalle e il torace. Inizia ad avanzare verso il proscenio, camminando in punta di piedi. È come se camminasse su un filo sospeso nell’aria.
Bianchi si riferisce a questo lavoro audio come a una “coreografia senza corpo che cerca corpi in ascolto”. Il solo di danza ha luogo puramente nell’immaginazione di chi ascolta, evocato con concretezza attraverso il ritmo e la precisione descrittiva della voce. Man mano che la narrazione avanza, la “tua” posizione nel pubblico viene sempre più chiamata in causa, e la coreografia inizia ad esplorare il rapporto fra un corpo in movimento e un altro che lo osserva (come nel celebre incipit de Lo spazio vuoto di Peter Brook, che delinea un grado zero dell’atto teatrale).
Ghost tapes
Uscendo dall’ambito dell’audio storytelling, si possono citare almeno tre esperienze di ascolto che si basano su reazioni fisiche assimilabili a quelle dei body genres. Da un lato ci sono i suoni ASMR (“Autonomous Sensory Meridian Response”), che producono una sensazione di rilassamento, a volte accompagnata a un formicolio alla base della testa, al collo e alla spina dorsale.
Al lato opposto c’è un dispositivo sonoro chiamato “Mosquito” che, promette il fabbricante, “funziona sfruttando una condizione medica chiamata presbiacusia. Con l’avanzare dell’età, la nostra capacità di sentire i suoni ad alta frequenza si riduce.” Il Mosquito emette un tono fra i 16 e i 18,5 kilohertz, che risulta estremamente fastidioso per gli adolescenti, ma che in genere non viene percepito dagli adulti. Il dispositivo è venduto per essere installato in spazi pubblici dove si vuole evitare l’assembramento di adolescenti.
(L’artista spagnolo Santiago Sierra ha usato un suono molto simile nella sua installazione Los Adultos (2007), una stanza con degli altoparlanti in cui visitatori e visitatrici “si comportavano a seconda di quello che udivano o che non udivano”).
Il terzo esempio ha carattere prettamente narrativo, e riguarda una delle reazioni menzionate da Williams: lo spavento. Non si tratta però di un lavoro artistico, ma di una tecnica di guerra psicologica, messa in atto fra il 1969 e il 1970 dall’esercito statunitense in Vietnam: la cosiddetta “Operation Wandering Soul”. È una serie di registrazioni audio, concepita per sfruttare la credenza vietnamita secondo cui un morto non sepolto nella sua terra d’origine sarebbe destinato a trasformarsi in uno spirito che vaga senza meta per l’eternità. Usando voci di soldati alleati ed effetti sonori, gli americani produssero una sorta di radiodramma horror, in cui a parlare erano i fantasmi di Viet Cong morti in battaglia. Questi “ghost tapes” venivano poi riprodotti ad alto volume nel cuore della notte, spesso usando altoparlanti montati su elicotteri che sorvolavano il territorio nemico. La speranza era che i soldati nordvietnamiti, spaventati, abbandonassero le armi. Si racconta che in alcuni casi i Viet Cong si resero conto del trucco e iniziarono a sparare agli elicotteri. In altri casi, invece, i nastri furono sin troppo efficaci, tanto da terrorizzare anche le truppe e i civili alleati.
Existential Overlap
Proprio negli stessi anni Bruce Nauman realizza Get Out of My Mind, Get Out of This Room (1968), un’opera d’arte che esiste puramente come suono. È una traccia audio registrata in cui l’artista statunitense ripete incessantemente la frase del titolo, variando l’intonazione e il timbro. L’opera è di solito installata in una stanza vuota e sembra rivolgersi direttamente allo spettatore che vi entra, intimandogli di uscire. Tramite la stereofonia, la voce di Nauman oscilla da una parte all’altra dello spazio espositivo, coinvolgendo fisicamente il corpo di chi ne fa esperienza.
Gli audio walks di Janet Cardiff (prodotti a partire dal 1991, spesso in collaborazione con George Bures Miller), sono una serie di lavori concepiti per essere ascoltati in cuffia, in dei luoghi specifici. Suoni e voci accompagnano il fruitore durante una camminata, fornendo indicazioni sul percorso da seguire e, al contempo, tessendo una linea narrativa che interagisce con gli stimoli visivi, tattili ed olfattivi percepiti dal corpo in cammino. In Villa Medici Walk (1998), ad esempio, la traccia è progettata per essere fruita durante una passeggiata a Roma, che porta da un piccolo bosco di aranci a una cantina sotterranea, piena di teste e braccia di statue rotte:
Voglio che cammini con me. Devo mostrarti una cosa. Prova a camminare al suono dei miei passi così possiamo rimanere insieme. Passa per l’uscio nel muro alla nostra destra, oltre il cancelletto di ferro, poi vai a sinistra.
[suono di automobile]
È una bellissima veduta della Villa, dei giardini, delle statue dei barbari sconfitti. Delle fontane.
[comincia un suono d’acqua. poi il crepitio del fuoco, le bombe, un elicottero]
Esperimento n. 1. Intaglia 100 fiocchi di neve nella carta. Vai in cima alla torre e lanciali uno per volta. […] Rimettiamoci in cammino. Andiamo verso la scalinata di pietra.
Se nell’opera di Nauman il corpo viene interpellato in uno spazio chiuso, gli audio walks di Cardiff invitano a uno spostamento, un coinvolgimento esplorativo. Usando tecniche di registrazione binaurale (concepite cioè per riprodurre, tramite gli auricolari, una percezione acustica immersiva e tridimensionale), l’artista canadese evoca attorno all’ascoltatore un ambiente, parallelo e comunicante con quello reale.
Sia Get Out of My Mind, Get Out of This Room che Villa Medici Walk utilizzano la seconda persona singolare, rivolgendosi direttamente al soggetto in ascolto. La narratologa Monika Fludernik definisce il racconto in seconda persona come “una narrazione in cui ci si riferisce al protagonista (principale) usando un pronome allocutivo (di solito tu)”. In letteratura, il tu narrante produce così una “sovrapposizione esistenziale (existential overlap)”, visto che può riferirsi al protagonista della storia, a un narratario o al vero e proprio lettore. Si stabilisce una fluidità di ruoli, in cui, secondo Fludernik, “la lettrice si trova interpellata ma non può immediatamente delimitare il riferimento a uno specifico livello narrativo”. Tuttavia, questo “effetto di distanziamento iniziale – ‘Sono io, la lettrice? O è un personaggio?’ – può diventare un effetto di accresciuta empatia”, permettendoci di “entrare nella mente del protagonista”.
Quello in seconda persona rimane uno dei tipi di narrazione più inusuali: sono poche le occasioni in cui capita di raccontare a una persona le esperienze che ha vissuto nel passato. Fludernik cita due casi: il tentativo di risvegliare la memoria in un soggetto amnesico e l’avvocato che, rivolgendosi all’imputato, ricostruisce le sue azioni.
Hypnotic Show
Utilizzato raramente nei vari formati di narrazione sonora (se non nelle tracce di self-help, di meditazione o nei corsi di lingua), il tu narrante può richiamare le tecniche verbali di induzione ipnotica, specie se usato al presente. Il legame fra radio e suggestione è antico: molti fra i primi radiodrammi giocavano infatti col ruolo e la posizione della persona in ascolto, che era indotta a credere, ad esempio, di stare captando un messaggio radio proveniente da una nave in mezzo al mare (Maremoto, 1924), un’interferenza telefonica (Sorry, Wrong Number, 1943), o di stare assistendo a una variazione straordinaria del palinsesto (The War of the Worlds, 1938).
La radio degli albori viene spesso assimilata a un dispositivo ipnotico. Rodolfo Sacchettini definisce I 4 moschettieri (1934-1937), la prima rivista radiofonica italiana, come “un vero e proprio fenomeno di massa, al limite tra magia e ipnosi”; ma ipnotica viene definita anche la voce di Hitler alla radio. Nel 1964 Marshall McLuhan, dopo aver catalogato la radio fra gli “hot media” (ovvero che si concentrano su un singolo canale sensoriale e prevedono una scarsa partecipazione dell’utente) afferma che “l’intensificazione di un solo senso ad opera di un medium può ipnotizzare un’intera comunità”. Inoltre, una tecnica di suggestione ipnotica (RHIC – Radio Hypnotic Intracerebral Control) sarebbe stata sviluppata dalla CIA negli anni Sessanta, innescabile a piacimento tramite trasmissioni radio.
Quello in seconda persona rimane uno dei tipi di narrazione più inusuali: sono poche le occasioni in cui capita di raccontare a una persona le esperienze che ha vissuto nel passato.
Una diversa forma di ipnosi a distanza è stata ideata dallo psicologo statunitense Lloyd Glauberman, che tramite musicassette, CD e mp3 utilizza la propria voce per influenzare il corpo e la mente delle persone in ascolto. Fra le varie tecniche ipnotiche e meditative basate su registrazioni audio, la sua ha un carattere particolare. Si chiama HPP (Hypno-Peripheral Processing), ed è concepita per essere fruita in cuffia: una voce racconta contemporaneamente due storie parallele, una per ogni orecchio. All’inizio l’ascolto è confuso, perché la mente fatica a seguire entrambi i canali. Eppure, secondo Glauberman, l’obiettivo è proprio di indurre la coscienza ad allentare la presa, per accedere a uno stato in cui la mente recepisce una sorta di messaggio segreto, nascosto fra le due tracce parallele (come negli autostereogrammi, quelle immagini apparentemente astratte che, incrociando gli occhi in un certo modo, inducono a percepire una forma tridimensionale).
Il rapporto fra arte e ipnosi è stato ampiamente esplorato da Marcos Lutyens – artista, ipnotista e specialista di narrazione in seconda persona. Uno dei suoi progetti artistici più celebri esiste “solo nella mente del pubblico”. Si chiama Hypnotic Show, ed è condotto in collaborazione col curatore Raimundas Malašauskas. Consiste in una serie di mostre – di scala e natura ogni volta diversa, con opere d’arte di numerosi artisti – che vengono “allestite nella mente degli spettatori” tramite sessioni d’ipnosi. Il capitolo più celebre del progetto ha avuto luogo alla Documenta di Kassel nell’estate del 2012, quando Lutyens ha condotto 340 sessioni. Malašauskas ha definito Hypnotic Show “una struttura sociale temporanea, dove si è coinvolti in atti creativi cognitivi durante una pratica collettiva di arte e ipnosi.”
Un versante parallelo dell’attività di Marcos Lutyens è l’Inductive Audio Museum, una serie di opere sonore da ascoltare in cuffia, che “invitano la mente del visitatore a espandersi oltre i suoi normali confini. […] Così l’opera d’arte si forma nella mente, e non fisicamente nello spazio della galleria.” Le audio inductions di Lutyens si rivolgono direttamente al corpo dell’ascoltatore-visitatore, evocando esperienze sensoriali molto dettagliate:
Appena sei pronta cominceremo lentamente il viaggio verso l’alto e mentre cominciamo la nostra ascesa vorrei che il tuo corpo cominciasse a sentirsi sempre più pesante, che si lasciasse affondare sempre più a fondo in questa poltrona comodissima e quasi completamente familiare. […] Ora vorrei che facessi caso alle tue mani posate, tanto pesanti e tanto rilassate, e mentre metti tutta la concentrazione sulle mani, senti come sono incredibilmente pesanti.
Embodiment
Contrariamente alla propensione escapista di formati come l’auto-aiuto o la meditazione guidata, alcuni lavori audio recenti fanno leva sulla seconda persona per dare forma a racconti di denuncia sociale e politica, agendo direttamente sul corpo in ascolto e stimolando il catalogo di reazioni dei body genres.
Un esempio è Journey, brano prodotto nel 2016 da Jungala Radio, una radio comunitaria nel campo per rifugiati di Calais. Jamil (non il suo vero nome) racconta come ha perso i genitori in un attentato, è fuggito dall’Afghanistan con la sua famiglia e ha visto morire una figlia durante la traversata in mare. Il resoconto è costruito con un’estrema semplicità, ma invece dell’io narrante, Jamil impiega il “tu”. Journey rivela in pieno la potenza della seconda persona, ponendoci al centro di un’esperienza atroce e chiedendoci, fin dall’inizio:
Immaginati di essere nei miei panni. Come ti sentiresti? Hai ventinove anni e una moglie, due figli e un lavoro. Hai abbastanza soldi e puoi permettersi due o tre cosine carine. Vivi in una casa piccola in città. Di colpo la situazione politica del tuo paese cambia e di lì a pochi mesi dei soldati si presentano davanti a casa tua e a casa del vicino. Dicono che se non combatti per loro ti sparano. Il tuo vicino si rifiuta. Un colpo, fine.
Un formato basato sulla seconda persona singolare è il librogame, in cui si è invitati a scegliere fra diversi snodi narrativi, condizionando lo svolgimento della trama. Il tu narrante è funzionale a porre il lettore nella posizione del protagonista, al centro dell’azione. La scrittrice Carmen Maria Machado, nel suo memoir In the Dream House, ripercorre la propria esperienza in una relazione violenta di coppia, adoperando una pluralità di generi letterari. Uno dei capitoli è in forma di librogame, e nel 2020 è stato incluso in un episodio del celebre programma radio statunitense This American Life. L’adattamento radiofonico si intitola You Can’t Go Your Own Way, ed elimina la dinamica interattiva di scelta fra le diverse trame. La narrazione in seconda persona pone il soggetto in ascolto al centro di una situazione di abuso domestico, di fronte a una serie di opzioni su cui, però, non ha alcun controllo:
Pagina 1, ti svegli, l’aria è lattiginosa e accesa. La stanza riluce di una sorta di effervescente soddisfazione, nonostante le scatole, i vestiti, i piatti. Ti dici, mi potrei abituare a delle mattine così.
Quando ti volti, la vedi che ti fissa. La raggiante innocenza della luce ti si spezza nello stomaco. Non ricordi di essere mai passata da veglia a paura tanto rapidamente.
“Ti sei mossa tutta la notte”, dice. “Mi toccavi con le braccia e i gomiti. Mi hai tenuta sveglia”. Se le chiedi scusa mille volte, vai a pagina 2. Se le dici di svegliarti la prossima volta che la tocchi con i gomiti mentre dorme, vai a pagina 3. Se le dici di calmarsi vai a pagina 5.
Al termine del suo saggio sui body genres cinematografici, Linda Williams afferma che ci sbagliamo ad assumere che i corpi di spettatrici e spettatori “riproducano semplicemente le sensazioni esibite dai corpi sullo schermo”. Il processo è in realtà più complesso, e “l’identificazione non è né fissa né interamente passiva”.
Monika Fludernik osserva che la letteratura di finzione in seconda persona ha il “potenziale sovversivo di creare un effetto spiazzante, di coinvolgere il lettore […] non solo nel racconto, ma anche nel mondo della finzione stessa”. Questo effetto, continua Fludernik, può avere “un uso politico molto strategico, […] aumentando i potenziali valori di empatia” e imponendo al lettore (esterno) una consapevolezza interna alla situazione, un punto di vista che non si troverebbe altrimenti ad assumere. Journey e You Can’t Go Your Own Way mostrano che questo “potenziale sovversivo” può essere rintracciato anche in lavori sonori di non-finzione.
Un ultimo esempio di come la ‘seconda persona sonora’ possa acquisire una valenza politica è l’opera autobiografica How to Remember di Axel Kacoutié, realizzata per il programma Short Cuts di BBC Radio 4 (con la produzione di Eleanor McDowall), e premiata come miglior documentario sonoro all’edizione 2020 del prestigioso Third Coast International Audio Festival. Kacoutié la descrive come “un tentativo di riconciliare e accettare tutte le parti di me che ho interiorizzato erroneamente, o che intuitivamente ho riconosciuto come vere”.
Non sai cosa vuol dire essere una persona nera perché non sai cosa vuol dire essere una cosa sola. […] A volte dici che sei ivoriano. E altre dici “Je suis ivoirien”, che vuol dire che ti senti più francese che britannico, finché non vai in Francia dove il tuo francese non è abbastanza francese. Quando torni, ti senti più britannico che ivoriano, finché non ti offrono il tè. O impari qualcosa di questo paese che ti mette ogni volta fuori.
La narrazione in seconda persona è qui usata come una sorta di metodo catartico, ripercorrendo il conflitto fra “gli elementi storici, familiari, razziali e personali” che costituiscono l’identità del narratore-narratario. L’uso del sound design e di materiali d’archivio aiuta a dare concretezza e spazialità alle esperienze passate, evocando luoghi, atmosfere, emozioni e sensazioni, e invitando chi ascolta a immergersi – a incarnarsi – nel racconto.
Una versione di questo articolo è stata presentata alla giornata di studi “The Exposed Body”, organizzata da Angela Vettese e Camilla Salvaneschi presso l’Università Iuav di Venezia.