Il Curioso (al femminile nell’originale) è una figura tipica della filosofia naturale del Seicento, i cui interessi molteplici mettono in scacco le nostre categorie. È il primo personaggio del libro, che sembra anche ricevere la tua maggiore simpatia. Che cosa pensi che possiamo imparare da questo personaggio?
Quello che sto cercando di fare è ridare vita a una concezione della filosofia che una volta era perfettamente legittima e ampiamente riconosciuta, che include non soltanto l’indagine sugli universali e sui concetti astratti, ma anche quelle che Leibniz chiamava “cose singolari”: fatti particolari sulle opere della natura, come la riproduzione delle anguille o la produzione della seta dei bachi. Argomenti come questi erano centrali nella filosofia dal tempo di Aristotele fino alla filosofia sperimentale del XVII secolo, in figure come Margaret Cavendish e lo stesso Leibniz. Escludere queste cose dall’orizzonte della filosofia è arbitrario e storicamente ingiustificato.
Un tema ricorrente del libro è che si dovrebbe rinunciare al pregiudizio secondo cui la filosofia sarebbe identificata per mezzo di un complesso di metodi e dottrine stabilito istituzionalmente. Il modo in cui sostieni questa tesi è basato soprattutto sulla conoscenza storica e linguistica.
Se la filosofia fosse un’attività dotata di un argomento molto chiaro e ben definito, come la sedimentologia o la cristallografia, allora forse avrebbe senso pensare che la sua sola manifestazione autentica e legittima sia la sua pratica istituzionale. Ma dato che non sappiamo, e non possiamo mai sapere in modo definitivo, che cosa sia la filosofia e quali siano i suoi confini, i filosofi “istituzionali” finiscono col passare la maggior parte del tempo a limare nervosamente i confini della disciplina. Non possono farlo riferendosi a un contenuto, perché il contenuto della filosofia è indeterminato, perciò lo fanno riferendosi a distinzioni amministrative tra chi è qualificato alla pratica e chi non lo è.
Nel capitolo sul Saggio suggerisci che la filosofia, piuttosto che limitarsi a essere una disciplina accademica definita dalla tradizione europea e americana, possa essere identificata con una espressione della cultura in genere, ben oltre i confini geografici dei paesi occidentali. Analizzi esempi di filosofia africana e indiana, ma anche la sapienza di un cacciatore indio del Brasile. Sottolinei che questo tipo di prospettiva ampia era tipica del primo autore di una completa storia della filosofia, Johann Jakob Brucker (1696-1770). Perché oggi dovremmo recuperare questo punto di vista?
Una ragione è che si è parlato molto negli ultimi anni di diversificare maggiormente la filosofia accademica e di includere altre tradizioni culturali. Ma si incontra qui un grande problema che quasi nessun filosofo accademico ha affrontato: le altre tradizioni culturali generalmente hanno altre forme di trasmissione culturale rispetto a quelle che siamo pronti a riconoscere a un primo sguardo come filosofiche. In particolare, questo è il caso di culture basate sulla tradizione orale piuttosto che sulla diffusione dell’alfabetismo e sulla conservazione di documenti scritti. Questo significa che, volenti o nolenti, se facciamo sul serio quando vogliamo diversificare la filosofia, allora dobbiamo diventare interessati all’interpretazione delle culture e imparare a leggere la filosofia in forme culturali radicalmente diverse. Se non vogliamo farlo, potremmo riuscire a diversificare maggiormente la filosofia, includendo per esempio l’India e la Cina, ma si tratterebbe soltanto di un piccolo cambiamento. La filosofia non sarebbe più eurocentrica, ma sarebbe “eurasia-centrica” e “alfabeto-centrica”. Io credo che la filosofia dovrebbe riguardare quel che gli esseri umani pensano in quanto esseri umani e non in quanto membri delle società alfabetizzate dell’Eurasia.
Descrivi il tuo libro come «un saggio nel senso che Montaigne dà al termine». Trovo questo riferimento significativo per varie ragioni. Una di queste, naturalmente, è che Montaigne è stato uno dei primi pensatori che ha tentato di criticare la società europea adottando un punto di vista esterno, per esempio nel celebre saggio Sui cannibali. Credi che questo tipo di procedimento ti porti a sostenere una forma di relativismo culturale?
Non penso che sia relativistico prendere in considerazione le credenze e i valori di altre culture. Se è vero che altre culture hanno tali credenze, allora studiare queste credenze accresce la propria conoscenza della verità non-relativistica. Questo vale sia che quelle credenze siano vere, sia che siano false.
Nel capitolo sul Polemico introduci un personaggio fittizio, Bud Korg, perito immobiliare e pensatore dilettante. Le sue lettere senza risposta, in cui Korg incalza il professore chiedendogli di riconoscere il valore eccezionale del suo libro Verità quantistiche per il XXI secolo, sono allo stesso tempo comiche e inquietanti. Pensi che la filosofia New Age e la “scienza di confine” (fringe science) tocchino un punto debole della filosofia contemporanea?
Penso che quasi tutta la filosofia New Age e la scienza di confine siano spazzatura, ma possono essere anche molto utili per comprendere la storia intellettuale del presente (per così dire). Margaret Wertheim ha condotto un affascinante lavoro di ricerca sulla “fisica degli outsider”. Ha studiato questo tizio secondo cui la struttura fondamentale dell’universo consiste in innumerevoli piccoli anelli. Se ricordo bene, era un surfista che giunse a questa conclusione mentre fumava erba e faceva piccoli anelli di fumo. È vero? Ovviamente no. È importante prestare attenzione a quello che si dice ai margini della scienza ufficiale e al modo in cui questi discorsi rispecchiano le preoccupazioni della nostra società? Ovviamente lo è, così come è importante prestare attenzione alle “false credenze”, se così possiamo chiamarle, che conferiscono struttura e significato alle società tradizionali che non sono state esposte alle verità della scienza.
Sostieni che non c’è un criterio rigido per separare la filosofia dalla poesia negli scaffali di una libreria, partendo dal dato di fatto che – per esempio – opere di Sterne, Eliot e Whitman possono includere idee filosofiche. Puoi spiegare il tuo punto di vista?
Semplicemente, non ci può essere un criterio necessario e sufficiente per classificare in modo definitivo un’opera come filosofica e un’altra come non-filosofica. Una proposta standard è che la filosofia consisterebbe di argomenti, ma naturalmente le cose non stanno sempre così, come sappiamo tutti. I testi filosofici, spesso, consistono soltanto di asserzioni audaci, alcuni sono scritti come aforismi, alcuni come romanzi, e alcuni, in effetti, come poesie.
Nel capitolo sull’Asceta analizzi il caso di un pensatore del XVII secolo, François Bernier, che cercò di comprendere la filosofia indiana soggiornando nell’India dei Moghul. Alla fine resta una distanza incolmabile: ciò che per lui è una dissezione anatomica, appare a molti indiani come un sacrificio. Perché questo episodio è tanto significativo?
Bernier era un filosofo materialista e un discepolo di Pierre Gassendi, pertanto il suo incontro con quella che in seguito sarebbe stata chiamata filosofia indù fu filtrato dal generale disprezzo per superstizione e oscurantismo che egli aveva già sviluppato in Europa. Era un osservatore acuto e fu il primo pensatore europeo a identificare correttamente le sei scuole della filosofia indiana ortodossa. Era anche estremamente liquidatorio. Il suo resoconto delle contorsioni del praticante di yoga è particolarmente severo, ma anche spassoso. È interessante che Bernier colleghi quanto vede con le pratiche ascetiche dei gimnosofisti, i “sofisti nudi” che erano familiari agli antichi Greci e potrebbero effettivamente essere stati Jainisti indiani di cui il mondo greco sarebbe venuto a conoscenza attraverso l’espansione verso Oriente dell’impero di Alessandro Magno.
Il capitolo sul Mandarino, il filosofo professionale per eccellenza, solleva ancora una volta il problema di definire la filosofia: dovremmo semplicemente accettare come filosofo colui che è accreditato come tale da un’istituzione o da una tradizione?
Non c’è niente di sbagliato nei Mandarini, fintanto che non si fanno illusioni su ciò che sono.
Il Cortigiano è il paradigma del pensatore “mercenario”, prono agli interessi del Signore. Ma, in perfetto stile montaigneano, sottolinei – anche in base alla tua esperienza – che i filosofi hanno effettivamente bisogno di guadagnare denaro. Credi che oggi la filosofia corra il rischio di diventare portavoce di nuovi governi autoritari e illiberali?
Il personaggio nell’excursus fittizio è basato su Jan Sten, un filosofo sovietico che fu convocato per fare da tutore a Stalin quando questi realizzò di non sapersi orientare su argomenti come la dialettica hegeliana. Sten finì vittima delle purghe, ed è facile per noi dire, oggi, che se l’è meritato. Ma in effetti è difficile sapere, nel corso della propria vita di pensatore, se la propria attività è moralmente vile o no. Ci si potrebbe convincere che, servendo come tutore di un tiranno, potremmo ammorbidire i suoi impulsi più tirannici. La difficoltà è accresciuta dal fatto che tutti dobbiamo avere di che vivere. Nelle circostanze presenti, con la recrudescenza dell’autoritarismo illiberale, potremo presto affrontare tutti una situazione non del tutto diversa da quella di Sten. Ci si potrebbe aspettare, ben presto, che le prefazioni dei nostri libri contengano lodi servili e umilianti di Donald Trump, e rifiutarci ci potrebbe costare la carriera. Che fare? Aggiungere questo frasario vuoto e passare a quel che è importante, o muoverci clandestinamente e dire quel che conta lontano dallo sguardo del tiranno e dei suoi codardi lacchè, che sono per definizione i nemici della filosofia?