A prendo un’app di incontri si può avere l’esperienza surreale di trovare la stessa battuta in tanti profili diversi. Nel breve spazio iniziale dove si scrive ciò che si vuole far risaltare di sé, presentandosi con una sorta di simpatia generica standardizzata, ho letto tante volte: “Non mi aspetto nulla ma sono già deluso”, “Diremo ai tuoi genitori che ci siamo conosciuti al cinema”, “1,87 m: abbastanza alto per prenderti le cose dagli scaffali a cui non arrivi”, “Convincimi che sei diversa dalle altre dicendomi che ti piace Star Wars”.
Forse è la stessa curiosa “serialità” di cui ha parlato Hadley Freeman, voce prominente del panorama femminista inglese, in un articolo del 2014 per The Guardian dove racconta l’incontro con un uomo di trent’anni che mette in atto una peculiare modalità di seduzione: Quando mi ha chiesto dove fossi cresciuta, pensavo di essere pronta per la sua reazione. Mi sbagliavo. “Ohhhh, conosco quella parte della città”, disse con un sorrisetto. “Facevo ripetizioni ai ragazzi da quelle parti, ma non riuscivo a fare pace con il dare un vantaggio in più nella vita a dei ragazzini viziati e avere a che fare con i loro genitori ottusi. Comunque, posso avere il tuo numero?”. Gli ho detto di chiederglielo al mio maggiordomo e me ne sono andata. Pensavo fosse questione di aver incontrato un tipo strano una tantum. Mi sbagliavo ancora.
Quando poi chiede a una sua amica che razza di atteggiamento fosse quello che vedeva ripetuto in molteplici situazioni con tipi maschili diversi, l’amica le spiega che si chiama “negging”: l’idea è che se ti comporti in modo insolente con una donna, lei sarà intrigata e vedrà te (uomo) come una sfida da cogliere. Una “strategia” che si basa su quello che in qualsiasi altro contesto chiamiamo, a ragione, semplicemente una mancanza di rispetto.
Tornando alle dating app, non si può dire che sia un crimine digitare su Google “Migliori bio per Bumble” e nemmeno si può dire che sia un comportamento esclusivamente maschile – ciò che però è interessante è osservare come gli uomini siano portati oggi a confrontarsi con il “female gaze”, lo sguardo femminile. Le donne hanno avuto secoli per abituarsi a vivere sotto lo sguardo maschile, e da decenni, grazie ai movimenti femministi, è in atto un processo di decostruzione della figura femminile così come è stata modellata per secoli. Gli uomini, da parte loro, affrontano questo genere di dinamiche da molto meno tempo: “Che cosa significa essere uomo è una domanda che sarebbe stata impensabile solo qualche decennio fa: gli uomini sapevano talmente bene chi fossero che nessuno pensava di interrogarsi sull’identità maschile” scrive Manolo Farci in “Siamo l’esercito dei bravi ragazzi” (in uscita sul numero 23 [2024] della rivista Im@go. A Journal of the Social Imaginary).
Nell’epoca post-#metoo, il gruppo sociale che sta subendo il contraccolpo maggiore rispetto alla nuova configurazione dei rapporti sono proprio loro: gli uomini eterosessuali che devono trovare il loro posto nei nuovi assetti di genere, di relazione, di socializzazione. In maniera forse impropriamente schematica, si può affermare che le donne, indipendentemente dal loro orientamento, trovano nel femminismo un movimento di riferimento, come le persone che si raccolgono sotto la sigla LGBTQIA+ dispongono di una comunità in cui confrontarsi e trovare supporto. Gli uomini eterosessuali e cisgender no: continuano a non avere tutti questi spazi di dialogo sul nuovo maschile. O meglio: li hanno, ma sono sporadici e utili solo a una bolla già sensibilizzata, già in odore di decostruzione. Eppure è proprio sulla capacità relazionale e sull’emotività maschile che si gioca la battaglia più profonda. Il patriarcato ha sì dato e continua a dare forme, limiti e stereotipie angoscianti alla vita delle donne. Ma lo stesso ha fatto con gli uomini: comprendere questo aspetto è fondamentale per un autentico cambiamento dei rapporti tra i generi.
I maschi non stanno bene: love coach edition
Ma dov’è che l’uomo odierno può, nel caso fosse interessato, trovare punti di riferimento aggiornati sulla mascolinità? In questa giungla di simboli che sono i nuovi rapporti tra i generi, in questa contemporaneità dove ancora il genere maschile fatica a trovare le proprie coordinate, i love coach sono un esempio che incarna il coltellaccio con cui farsi strada tra le liane, il rasoio di Occam delle relazioni, la semplificazione necessaria per chi non sa più orientarsi. Dal tema delle dinamiche di genere, a quello della socializzazione maschile fino alla percezione delle relazioni amorose nel contesto eterosessuale, i canali e le comunità legati all’idea di seduzione come expertise sono spazi rilevanti da esplorare. E non per aderire all’idea che questo sia il brodo di cultura dove vanno a pesca i cosiddetti “casi umani” – ma proprio per il contrario: il bacino dei love coach sono le cosiddette “persone normali”, i “bravi ragazzi™”. Proprio quelli di cui, di tanto in tanto, spulciamo i profili esposti nel più grande mercato della carne online; quelli che non riescono a spiegarsi perché a tratti sentono salire un po’ di rabbia contro tutta questa autodeterminazione femminile dei nostri giorni.
L’industria della seduzione è uno dei luoghi di negoziazione del maschile da osservare con più attenzione.
È una tentazione ricorrente quella di non validare gli ambienti online in quanto caratterizzati da una sorta di statuto ontologico diminuito: ma la verità è che l’integrazione sempre più profonda di Internet nella vita delle persone fa sì che, oramai, all’online appaltiamo gran parte del nostro tempo, della nostra personalità, del nostro sviluppo. Inoltre i love coach non sono un caso isolato: se si aderisce anzi all’idea che ogni fenomeno socio-culturale porta con sé un’ideologia e non possa, per questo, essere ritenuto innocuo, è piuttosto semplice capire come l’industria della seduzione (onnipresente, pervasiva e martellante nelle piattaforme mainstream grazie anche ad algoritmi compiacenti e laute sponsorizzazioni) sia uno dei luoghi di negoziazione del maschile da osservare con più attenzione.
Su questo punto specifico è utile la lunga inchiesta etnografica di Rachel O’Neill, Seduction: Men, Masculinity and Mediated Intimacy. In apertura, l’autrice spiega come anche quelle concezioni che sembrano appannaggio di gruppi minoritari possano sedimentarsi nell’immaginario pubblico e come, dunque, fenomeni all’apparenza marginali non siano da intendersi come un’eccezione ma come una spia del più ampio sistema socio-culturale nel quale sono inseriti. Del suo libro, O’Neill scrive che:Si tratta di un’analisi specificamente femminista, critica nei confronti dell’industria della seduzione ma che resiste alla tentazione di isolare questa formazione da correnti culturali più ampie. […] voglio muovermi verso una conversazione più difficile che riconosca l’industria della seduzione non come una deviazione o un allontanamento dalle attuali convenzioni sociali, ma come un’estensione e un’accelerazione delle norme culturali esistenti.
Da una parte, quindi, serve provare a concepire il fenomeno dei love coach (e la sua ideologia) come immanente al contesto e non come un corpo alieno che viene a inquinare una società pacificata riguardo alle dinamiche di genere. Dall’altra, proprio perché credo sia da ritenersi immanente e pervasivo, va osservata non nei suoi casi limite, ma nel suo permeare la presunta “normalità”: più che affrontare il tema della radicalizzazione di quegli uomini che, come racconta Matteo Botto intervistato da Roberta Cavaglià per siamomine, “cercano conforto su Google, poi su Reddit, Youtube e Telegram, in un tunnel che li radicalizza”, si deve esaminare il percorso opposto. Ovvero quello di quella nuova misoginia – de-radicalizzata, neutralizzata, depoliticizzata – che parte dai gruppi Telegram o da Reddit e poi sbarca su Instagram, in una sorta di spillover che si riversa a cascata nel mainstream e arriva fino ai “bravi ragazzi”. Di solito, sotto forma di reel buffonesco.
I nuovi rapporti nell’era post-#metoo
Nel suo video “Men”, la video-essayist statunitense Contrapoints lo dice chiaramente: nel 2016, la big internet war vedeva schierate le femministe (era appena scoppiato il #metoo che, per la storiografia di questo fenomeno, è un buon punto di partenza) contro i Men’s Right Activists (MRA). Gli attivisti per i diritti degli uomini fanno parte della cosiddetta maschiosfera, che trova terreno fertile in community come quelle di Reddit, 4chan, 8chan e nelle piattaforme di gaming online, anche se negli anni ha assunto un volto più mainstream diffondendosi anche su piattaforme come YouTube, Facebook e Instagram. In un articolo sul suo profilo Medium, Jennifer Guerra riassume: Secondo Debbie Ging, il termine maschiosfera (manosphere) è comparso per la prima volta nel 2009 su Blogspot, ma è diventato popolare grazie al libro di Ian Ironwood The Manosphere: A New Hope for Masculinity nel 2013. Il termine è stato adottato per descrivere un fenomeno di cultura misogina online che ha però avuto delle gravi ripercussioni offline, come l’attentato di Isla Vista commesso da Elliot Rodger nel 2014, quello commesso all’Umpqua Community College in Oregon da Chris Harper-Mercer nel 2015 e il Gamergate. All’interno della maschiosfera, come riportato in “Fare maschilità online: definire e indagare la manosphere”, pubblicato su About Gender. International Journal of gender studies, troviamo: il movimento mitopoietico e il movimento MRA (Men’s Right Activists), entrambi proiettati nel passato idealizzato di una natura maschile da riscoprire e di una posizione sociale da riacquistare (Coston e Kimmel 2013; Schmitz e Kazyak 2016; Gotell e Dutton 2016); i Pick Up Artists, la comunità Red Pill e gli Incel (involuntary celibates), che adottano la retorica della crisi della maschilità e rivendicano la necessità di liberarsi da una società femminilizzata e misandrica (Mountford 2018; Donnely et al. 2001; Salojärvi et al. 2020); i Men Going Their Own Way (MGTOW), che adottano un approccio separatista e rifiutano la dipendenza dalla relazione con le donne (Hunte 2019; Lin 2017; Jones et al. 2019; Rudiger e Dayter 2020).
Al netto di queste differenze, la galassia della maschiosfera è composta da comunità che, al fondo, condividono disagi analoghi: percepirsi in situazione di estraneità rispetto alle relazioni con il genere femminile e, contemporaneamente, vedere nell’avanzata dei femminismi un problema.
La maschiosfera si basa su un disagio rispetto al genere femminile e sull’assunto che questo dipenda dall’avanzata dei femminismi.
Sempre in “Siamo l’esercito dei bravi ragazzi”, Manolo Farci spiega bene come la vasta rete di siti web, blog e comunità online che focalizzano le discussioni sul ruolo dell’uomo nella società attuale rappresenti un tentativo complesso e spesso contraddittorio da parte degli uomini di negoziare la propria posizione all’interno del campo delle politiche identitarie contemporanee. Gli utenti che frequentano questi spazi sembrano dedicare tutti i loro sforzi a respingere la politicizzazione femminista della maschilità e a liberarsi dal fardello di un’identità connotata (spesso in termini di potere e privilegio). Eppure questi gruppi condividono interpretazioni riduzionistiche e deterministiche del comportamento femminile: sempre dall’articolo di Guerra, secondo questa interpretazione le donne sarebbero “per natura irrazionali e ipergame”, cioè propense a intrecciare relazioni sessuali e non con uomini di status socio-economici più elevati con l’obiettivo di migliorare la propria condizione.
I blog e i forum dei Pick-Up Artist rappresentano una delle zone più agguerrite del vasto territorio di Internet dove si gioca la battaglia dell’antifemminismo. Più che mettere sotto la lente gli ideologi e decostruirne gli assunti, è interessante osservare coloro che partecipano di questi contenuti principalmente per il proprio beneficio personale ed economico. “Contenuti misogini e violenti che un tempo si potevano trovare solo negli angoli bui di internet, relegati a piattaforme sovversive come 8chan, o a specifici forum Incel su Discord, ora vengono presentati e gamificati attraverso forme culturali ‘soft’”, scrive Manolo Farci nel suo paper “Make Men Great Again” ((in uscita sul volume 1 [2024] di Quaderni di Teoria Sociale). Una di queste forme culturali soft è appunto il mondo dei love coach, che si può vedere come estremo opposto alla maschiosfera all’interno di uno spettro che rappresenta una temperie socio-culturale che si estende dalle più occulte rabbit hole di Internet ai feed giocosi delle piattaforme generaliste.
I contenuti elaborati negli angoli meno esplorati della manosphere acquisiscono così rilevanza pubblica finendo sotto gli occhi meno abituati di un’audience ampia ed eterogenea di chi potrebbe anche non aver mai sentito parlare di incel o Pick-Up Artist ma che non ci trova nulla di male in alcuni videoclip, meme e catchphrase che veicolano messaggi almeno controversi quando non pericolosi. D’altronde, sono i processi di depoliticizzazione, neutralizzazione e de-radicalizzazione i meccanismi di cui si nutre il professionalismo di un business come quello di PlayLover Academy, l’avamposto della nuova misoginia.
PlayLover Academy
La visione che considera le elaborazioni dei love coach come rivolte esclusivamente a chi abbia familiarità con gli ambienti della maschiosfera è una posizione comoda, ma limita la comprensione di un fenomeno che può riguardare ciascuno di noi. Le consulenze di vario tipo per le relazioni sentimentali sono senza dubbio un trend in crescita, ma in questa offerta eterogenea (per impostazione, finalità, target) PlayLover Academy si distingue come un punto di riferimento, rappresentando un approccio che rispecchia un’atmosfera specifica nel modo di vivere e comprendere le relazioni.
Più che mettere sotto la lente gli ideologi e decostruirne gli assunti, è interessante osservare coloro che partecipano di questi contenuti principalmente per il proprio beneficio economico.
Leggendo dal loro sito, PlayLover Academy è la “prima e unica accademia di seduzione in Italia”, un servizio di consulenza a pagamento che organizza corsi destinati a quegli uomini che “sono stufi di essere visti solo come amici” e che vogliono capire “come conquistare la ragazza dei loro sogni, diventare appetibili agli occhi di una o più ragazze nonché capire nello specifico come agire nelle più svariate situazioni” ma anche a uomini già fidanzati “che vogliono imparare a gestire al meglio la propria relazione amorosa”.
La filosofia di fondo è che la capacità di incontrare e attrarre le donne sia una competenza o abilità da coltivare attraverso l’addestramento pratico e lo sviluppo personale. Esiste il mindset vincente – quello che permette di non essere più “lombrichi” o “blatte schifose” – che può essere acquisito e acquistato, soprattutto. A quanto? Per la partecipazione a una tappa singola del Winter Tour – 3 giorni, 30 ore – vengono richiesti 1.499 euro, ma se si ha una minore disponibilità si può anche solo acquistare un video-corso di 10 ore per imparare a chattare a 599 euro. Nel paper “Make Men Great Again”, Farci parla di una vera e propria “no excuse mentality”: spendere significa impegnarsi, e impegnarsi significa avere successo. Gli uomini eterosessuali vengono così invitati a coltivare un’ “etica del lavoro sessuale” in cui “il dominio delle relazioni intime viene trattato in modo analogo a quello del lavoro”.
Tra linguaggio neoliberale, paradigmi imprenditoriali di automiglioramento e rigidi protocolli di approccio sessuale, quello che vogliono propagare i due fondatori è che ci si possa “laureare in ragazze”. Le ragazze, proprio loro, che ovviamente non vengono risparmiate dall’endemica e implicita costruzione di ruoli rigidi: se, da una parte, viene riproposto il frusto stereotipo dell’uomo cacciatore che deve acquisire “valore” e “potere” tramite una sequela di seduzioni, la donna è sempre un oggetto da “hackerare”, è sempre la rappresentante di una categoria monolitica che risponde a stimoli ben codificati – che va conquistata ma pure “spanata” e “asfaltata” quando la situazione lo richiede. Sono (anche) scelte lessicali come queste che lasciano intravedere cosa sia PlayLover Academy: il volto apparentemente innocuo di elaborazioni ideologiche, tanto più efficaci proprio perché “sotto copertura” e rese più digeribili dalla de-politicizzazione.
E, d’altronde, l’ispirarsi alla maschiosfera viene esibito senza troppi giri di parole: Da qui la nostra idea di un connubio tra
Play e Lover: unendo il “giocare” (fare game), con l’essere un amante delle donne. Il nostro seduttore ideale è un uomo che si avvale di tutte le tecniche prese dal game, utili ad esempio per approcciare, conversare, creare attrazione e rapporti, con finalità un po’ diverse rispetto al PUA.Perché “un po’ diverse”? Perché “Un uomo di questo tipo potrebbe compromettere seriamente il seguito della vita di una donna, la quale è naturalmente e primordialmente predisposta per concepire la prole e prendersene cura nei limiti del possibile”.
Tra paradigmi imprenditoriali e rigidi protocolli di approccio sessuale, quello che vogliono propagare i fondatori è che ci si possa “laureare in ragazze”.
I fondatori vogliono creare in laboratorio un altro tipo di seduttore, un “PUA incompleto” – come lo chiama Maria Cafagna in questo articolo –, un uomo capace di ispirare fiducia per la costruzione di una famiglia, a differenza di ciò che accade con il seduttore incallito, il cui comportamento non evoca lo stesso senso di stabilità. Anche perché “il cervello della donna lo esclude automaticamente dalla selezione una volta appurata la sua reale identità in quanto il rischio percepito dal cervello primordiale” (sempre dal sito di PLA). Anche in questo caso si ritrova una certa consonanza con gli spazi della manosphere, dove si assiste a un incessante dibattito su quali siano le strategie e meccanismi occulti dei comportamenti femminili in ambito relazionale. Tutti discorsi che, come riporta Farci, “si basano solitamente su un’interpretazione capziosa delle ricerche evoluzionistiche riguardanti le strategie naturali di accoppiamento femminile (Bachaud, Johns, 2023)”. Pensavamo forse di esserci liberati del vecchio adagio secondo il quale gli uomini provengono da Marte e le donne da Venere e che preconizzava quindi l’impossibilità di una vera relazione comunicativa tra i generi – invece non solo questa schematizzazione non si è annullata ma ha assunto tinte fosche mescolandosi a una misoginia all’acqua di rose.
Quando apro un’app di incontri, ho alcune certezze: quasi sicuramente mi imbatterò negli alfieri della simpatia generica che cercano la donna pavloviana ma, con ancora maggiore probabilità, incapperò in quelli che pensano sia intelligente mortificare per sedurre. Quello che più sopra abbiamo chiamato ‘negging’, e che Christian & Steve, fondatori di PlayLover Academy, chiamano “Cocky & funny”.
Il femminismo basta anche agli uomini?
Quando è uscito il libricino di Lorenzo Gasparrini “Perché il femminismo serve anche agli uomini” (Eris edizioni, collana Bookblock, 2020) che si impegna nel proporre riflessioni sul sé maschile che si discosti da quello normativo del maschio alpha, ricordo di aver esultato e pensato che già dal titolo il testo fosse foriero di verità. Se la diagnosi recitava che “Dire che il patriarcato fa male anche agli uomini non è né una comparazione né una svalutazione delle lotte delle donne”, la cura a portata di mano sembrava essere un femminismo in grado di salvarci, tutti e tutte, per abbandonare la forma di vita legata al patriarcato e abbracciare quella della decostruzione.
Subito mi tornano in mente, però, anche tutti gli anni durante i quali ho incontrato talmente tanti uomini, femministi solo per finta, che quell’entusiastico accordo iniziale è diventato un ghigno, una risata nervosa. Forse, più che il femminismo, agli uomini servirenne una elaborazione che nasca da loro stessi, come sostiene Contrapoints nel video-essay “Men”: “senza una visione alternativa attraente di una mascolinità aspirazionale, i giovani uomini comuni possono solo immaginare il loro futuro come… cosa? Penso che gli uomini abbiano bisogno di un nuovo ideale positivo di mascolinità, che non credo possa essere creato dalle donne per gli uomini, anche se lo volessero”.
Più che il femminismo, agli uomini servirenne una elaborazione che nasca da loro stessi.
Tentativi che vanno in questa direzione si iniziano ad affacciare sulla scacchiera dei mutati rapporti tra i generi: libri di uomini scritti per uomini, community tra pari, osservatori di uomini sul maschile, profili social che commentano notizie legate al mondo maschile. Ci sono i podcast, le lezioni, i festival persino; e tuttavia, al momento, gli spazi di elaborazione del maschile contemporaneo sono perlopiù presidiati da chi propone narrazioni polarizzate, dai love coach ai manfluencer fino agli psicologi sociali che scelgono di parlare dei disagi maschili inquadrandoli come reazione al femminismo piuttosto che concentrandosi su una riflessione autentica sul patriarcato e i suoi effetti. “Bisogna lavorare attivamente tra uomini per ridefinire il maschilismo non più in opposizione agli altri gruppi sociali, ed evitare che la crisi della mascolinità continui ad essere fagocitata dal tribalismo e polarizzata dagli spazi online”, scrive Alessandro Mazzi su siamomine: la vera sfida è la creazione di alternative sane e aspirazionali, capaci di essere attraenti e inclusive, senza dipendere da stereotipi o dinamiche di potere.
Sono nobili propositi. E però, rispetto alla fattispecie del love coaching di stampo misogino – radicato in una cultura che spesso perpetua stereotipi dannosi sulle relazioni tra uomini e donne – non ci si può certo illudere che il fenomeno venga rapidamente contrastato da nuove narrazioni di maschilità più equilibrate e contemporanee. Resta importante ricordare che nonostante il modello ibrido di business di PlayLover Academy presenti una forte componente di comunità (definibile proprio come “community-industry”), si tratta prima di tutto di un business dove l’aspetto di costruzione della collettività ha un fine prettamente strumentale. Proprio per questo motivo, al netto del doveroso compito delle contro-narrazioni sulle pratiche alternative di maschilità, è più interessante valutare come possibile implosione di una siffatta realtà imprenditoriale la delusione, collettiva e organizzata, di clienti insoddisfatti. A volerlo guardare da un’ottica spietatamente economica, un corso da migliaia di euro che si propone come contenitore di consigli generici, spesso basati su stereotipi, di anacronistico senso comune truccato da innovative scoperte di psicologia evoluzionista e protocolli standardizzati, non può che dirsi un cattivo investimento.