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el 1998 l’antropologa Clara Gallini pubblicò il libro Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes. Il volume è l’unico testo in lingua italiana che affronta la questione delle apparizioni di Lourdes dal punto di vista antropologico. Tenendo conto che la data di pubblicazione rasenta il nuovo millennio, questo ritardo della disciplina è quantomeno bizzarro. Perché non ci sono altri riferimenti importanti in lingua italiana sul santuario? La situazione nella letteratura internazionale è migliore, ma non di molto: esistono dei testi, certo, ma non abbastanza da creare un corpus. Eppure, Lourdes è un centro sacrale della cristianità europea, un pezzo fondamentale della sua storia: terzo santuario cristiano al mondo per numero di visitatori, dopo il Vaticano e la basilica di Guadalupe.
Si dice che ovunque ci siano esseri umani ci sia un antropologo a perseguitarli con taccuino e registratore. Eppure, l’apparizione della Madonna di Lourdes e la complessa storia dello sviluppo del santuario non sembra accendere particolarmente l’interesse degli antropologi, che sembrano, invece, molto più interessati a mappare le geografie della gentrification nell’ennesimo quartiere metropolitano.
Ma perché, quindi, gli scienziati sociali hanno lasciato ai margini dei loro interessi quel centro della cristianità moderna che è Lourdes, con la sua storia di culto, veggenza e misticismo? Ce lo spiega Gallini stessa, che nel libro si pone queste domande prima di me. In primis, secondo lei, Lourdes non sarebbe un campo attrattivo per quelli che lei chiama “sociologi” (ma che qui potremmo definire anche antropologi urbani), perché il santuario non è sorto in un centro urbano o industriale, ma in un paesino rurale sui Pirenei francesi. In secondo luogo, Lourdes non sarebbe nemmeno un campo attrattivo per i folkloristi, poiché non è sede di un culto antico, radicato nella tradizione millenaria. Infatti, come è noto, la Madonna è apparsa alla piccola Bernadette solo nel 1858: in parole povere, più o meno quando il nonno di mio nonno saltava i fossi per il lungo. In ultimo, Lourdes non si trova in nessun Paese che abbia conosciuto l’esperienza coloniale: non evoca dunque l’esotismo orientalista che l’antropologia ama cercare nei suoi oggetti di studio.
Spostandosi su un piano più generale, secondo l’autrice alle apparizioni mariane europee mancherebbero quelle caratteristiche che rendono un oggetto di studio interessante per l’antropologia. Il culto della Madonna sembra caratterizzato da una posizione liminale, che è esattamente quello che ne rende difficile la definizione. Figura né umana né divina, né antica né moderna, né esotica né “domestica”, la Vergine Maria risulta difficile da collocare.
Perché gli scienziati sociali hanno lasciato ai margini dei loro interessi quel centro della cristianità moderna che è Lourdes, con la sua storia di culto, veggenza e misticismo?
È proprio in un luogo caratterizzato da una forte liminalità che è iniziata la mia esperienza etnografica nell’ambito delle apparizioni mariane. Più o meno due anni fa, nel mezzo del tipico paesaggio di
wasteland periurbana che chiunque abbia abitato nella pianura padana conosce bene, ho condotto svariati mesi di ricerca di campo in una zona dove il confine tra paesaggio urbano e paesaggio naturale si sfuma. Lì, vicino a un piccolo agglomerato urbano, le casette a schiera lasciano il posto ai capannoni, ai parcheggi e ai campi sportivi periferici della zona industriale, che, a loro volta, mutano rapidamente in quadrati di terra, coltivati a uso agricolo o lasciati incolti: nel mezzo di una macchia boschiva abbastanza rada, sorge una piazzola di parcheggio a lato della strada provinciale. La piazzola è conosciuta dagli abitanti della zona per essere un luogo di scambio di sesso: cruisers, scambisti, clienti e
sex workers si avvicendano nella boscaglia alla ricerca di incontri fugaci tra le braccia di amanti temporanei.
Sul bordo di questa piazzola, nel 1994, la Madonna è apparsa per la prima volta a un operaio che si stava dirigendo al lavoro, molto presto la mattina, per attaccare il primo turno nella catena di montaggio di un’enorme fabbrica situata a pochi chilometri sulla provinciale.
La Vergine appare al veggente incredulo tra i rami di un albero, avvolta in un fascio di luce: “Avvicinati, non temere” gli dice. Poi gli chiede di pregare con lei, prima di congedarlo: “Tornerò qui tutti i lunedì”. E così, la settimana dopo la Madonna ritorna. E quella dopo ancora. E ancora. Le apparizioni si susseguono per anni, con ritmi e cadenze diverse. Tutto accade davanti agli occhi increduli di chi vede cadere l’uomo in ginocchia e riportare le parole della madre di Gesù, fissando il vuoto col viso pieno di luce. Dapprima piccoli capannelli, poi centinaia di pullman provenienti da tutta Europa arriveranno per venerare quel luogo sacro, dove la Madonna ha deciso di apparire a bordo di una piazzola teatro di perversioni immorali e comportamenti deplorevoli. “Ma perché è apparsa proprio qui?”, ho chiesto, una volta, a un fedele. “Ma perché la Madonna appare sempre tra i rifiuti, come a Lourdes!” mi è stato prontamente risposto.
Questo dualismo apparentemente antitetico tra sacro e profano rappresenta la messa in scena di quella che Gallini, parlando del santuario di Lourdes, definisce “la frantumazione del credere, la varietà delle forme di un’adesione che può modularsi su registri solo in apparenza incompatibili”. Con queste parole, Gallini si riferisce alle apparenti contraddizioni di Lourdes: contemporaneamente luogo di purezza miracolosa e Tempio del consumo, dedalo e crocevia di negozi, alberghi, ristoranti, un piccolo regno del capitalismo religioso che si sviluppa intorno alla maxicattedrale, punctum narrativo della scena-cartolina.
Lourdes: contemporaneamente luogo di purezza miracolosa e Tempio del consumo, un piccolo regno del capitalismo religioso che si sviluppa intorno alla maxicattedrale, punctum narrativo della scena-cartolina.
In questo piccolo mondo, racconta l’antropologa, giorno e notte, nei pressi della grotta, va in scena uno spettacolo inaspettato: quello della “kermesse” di amori clandestini tra pellegrini, prostituzione in tutti gli hotel, tradimenti seriali, amori proibiti, ma anche abboffate bulimiche, acquisti compulsivi. I pellegrini, a Lourdes, sembrano vivere una seconda vita, opposta e speculare in quanto a intensità solo alla fervenza della devozione religiosa che è vettore, ogni giorno, di guarigioni miracolose e impensabili in ogni altro luogo del mondo. Queste “desacralizzazioni”, secondo Gallini, non sono antitetiche rispetto al culto: al contrario, lo costituiscono, rappresentando l’alterità carnale alla purezza dello spirito.
Solo con questa consapevolezza possiamo comprendere come mai, negli anni Novanta, la Madonna sarebbe apparsa in quella piazzola di cruisers e scambisti: un terrain vague, uno spazio liminale, una zona di confine tra le “rovine” sociali, come l’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing definisce le periferie dei centri di produzione economica, dove l’apparente linearità dei processi di accumulazione capitalista si scontra con gli assemblaggi discontinui e imperfetti delle economie marginali (Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo 2021). Qui, infatti, anche le economie morali disegnano geografie invisibili e sotterranee: la vita libertina di un paese di provincia, che si consuma tra le frasche nascoste a lato di una strada ad alto scorrimento, fa da sfondo scenografico al culto religioso dell’Immacolata concezione: donna concepita senza peccato, che partorì vergine, senza mai conoscere la macchia del peccato sessuale.
Quando sono arrivata io, trent’anni dopo la prima apparizione, il veggente non c’era più. Ormai l’uomo vive lontano e non frequenta più la comunità. Ma il culto è ancora vivo e resiste alle forze politiche e sociali che cercano di cacciare la comunità dei fedeli da quella piazzola.
Il veggente non c’è più, ma la Madonna abita ancora il luogo, in modalità più timide, silenziose. Un uomo mi riferisce di aver sentito dei fruscii nell’erba. Un altro di aver visto gocciolare dell’olio da una pianta. Un altro mi racconta di aver ritrovato miracolosamente il suo amato rosario, perso qualche giorno prima. Una donna mi indica le nuvole, sorridendo: “Lo vedi anche tu, vero?”, mi chiede. Molti mi raccontano le grazie ricevute: il figlio dell’amico guarito da una malattia grave, la moglie comparsa in sogno dopo la morte. Le vie della Madonna sono infinite, come sa bene chi si occupa di apparizioni mariane. La Madonna è anche una grande frequentatrice di internet: durante la mia etnografia, ho potuto osservare come la rete non sia solo luogo di creazione di comunità religiose, ma anche medium specifico che modella il rapporto che le persone intrattengono con il miracolo.
Le economie morali disegnano geografie invisibili e sotterranee: la vita libertina di un paese di provincia, che si consuma tra le frasche nascoste a lato di una strada ad alto scorrimento, fa da sfondo scenografico al culto religioso dell’Immacolata Concezione.
La Vergine Maria ricopre un ruolo centrale nella teologia cattolica; eppure, le forme del suo culto assumono spesso
aspetti eterodossi ‒ e un po’ ribelli ‒ rispetto alle istituzioni cattoliche. Questo non capita solo all’ombra di una grande capitale industriale, nel mezzo della pianura padana: in tutta Italia ogni tanto una Madonna piange, un’altra sanguina, un’altra fa capolino dalle nuvole e manda messaggi di pace, un’altra ancora compare agli occhi di qualche sventurato e annuncia una guerra in arrivo. La Madonna, puntualmente, compare con modalità e linguaggi indecorosi, goffi, eccessivi, facendo storcere il naso non solo ai teologi, ma anche all’opinione pubblica mainstream (cattolica e non). La Madonna si circonda di personaggi ambigui – come la famosa Gisella Cardia di Trevignano, da anni al centro di bufere mediatiche e indagini per truffa ai danni dei tanti fedeli che si sono rivolti a lei ‒, oppure se ne esce con profezie strampalate sulla politica globale, o ancora esaudisce desideri venali, materiali (nel caso di Gisella, la famosa moltiplicazione delle fette di pizza). La Madonna non si comporta come ci aspettiamo, e continuamente sfida i confini teorici ed estetici che distinguono l’ambito del sacro da quello del profano. Perché, come detto prima, è una figura liminale, una divinità della soglia.
Le apparizioni della Madonna sono fenomeni culturali importanti da includere a pieno titolo nell’analisi della complessità antropologica e politica della contemporaneità europea. Eppure, spesso sono trattate solo come rimanenze folkloriche curiose e bizzarre, che nel migliore dei casi ci strappano un sorriso. Ci fa ridere che qualcuno parli con la Madonna, e releghiamo questa stranezza o all’ambito medico-psichiatrico (“Sarà matto!”) o alla semplice suggestione della ripetizione del gesto rituale. Prendo in prestito le parole dell’antropologa Stefania Consigliere quando scrive “La nostra preoccupazione per chi “vede quel che non c’è” (la Madonna, ad esempio, oppure i jinn, o gli spiriti della foresta) maschera il fatto che, spessissimo, noi non vediamo quel che c’è: la violenza, il cinismo, lo sfruttamento, la distruzione” (Favole del reincanto 2020).
Nel caso del campo che io ho attraversato, “quel che c’è” è la vita nella periferia periurbana all’ombra di un grande polo produttivo, che all’epoca della prima apparizione stava iniziando a chiudere i battenti, causando una grossa crisi occupazionale in tutta l’area circostante: la fine della fabbrica è stata anche la “fine di un mondo”, utilizzando la famosa espressione demartiniana. Una modesta ma dirompente apocalisse culturale che ha causato precarizzazione del tessuto sociale e perdita di sicurezza economica: una crisi dei valori che, nell’interpretazione dei fedeli, invece che essere imputata alla fabbrica veniva ricondotta alla cattiva condotta sessuale degli avventori dei boschi.
Uno dei contributi più importanti di Clara Gallini alla letteratura antropologica italiana è stato quello di sottolineare la modernità del miracolo: questa antropologa aliena allo scenario antropologico italiano post-demartiniano voleva liberarsi di quell’ossessione per il “primitivo” che ancora oggi perseguita molti nella disciplina. “Ha mai visto degli uomini primitivi? Esistono, invece, uomini moderni che vivono in società moderne che noi chiamiamo primitive. Ma non lo sono”, sosteneva nel 2014 in un’intervista alla Repubblica.
Le apparizioni della Madonna sono fenomeni culturali importanti da includere a pieno titolo nell’analisi della complessità antropologica e politica della contemporaneità europea.
Le apparizioni mariane, secondo l’antropologa, non erano certo eventi “primitivi”, ovvero rimanenze di culti arcaici e antichi, destinati a scomparire all’arrivo della modernità. Al contrario, secondo lei erano fenomeni reattivi rispetto alle sfide della modernità capitalista. La sua analisi brillante, muovendosi tra le pagine più note della teoria marxista, invita gli antropologi a concentrarsi sulle condizioni materiali della vita umana nell’approcciarsi all’analisi dei fenomeni religiosi. Secondo Gallini, in contrasto con la posizione dominante degli allievi di de Martino e dell’etnologo stesso, la “magia” non era qualcosa che si limitava agli ambiti rurali; al contrario, secondo lei magia e religione sono ambiti in continuo mutamento dialettico rispetto al capitalismo moderno e le sue varie manifestazioni: la società dei consumi ‒ il piccolo impero capitalista di Lourdes ne è esempio ‒ ma potremmo aggiungere, oggi, l’avvento del capitalismo digitale (come nel caso del recente fenomeno Carlo Acutis, il “Santo dei millenial”).
Durante la mia etnografia, sfogliando il grande archivio dei messaggi che la Madonna riferì al veggente, ne ho trovato uno che diceva: “Lascia che il mondo, la fabbrica, la stessa Chiesa girino per il loro verso, Io agisco in senso contrario”. Tracciare le geografie di quel “senso contrario” è uno dei compiti ermeneutici che un’antropologia coraggiosa dovrebbe saper raccogliere.