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el video sono centinaia, forse migliaia. Scimmie, primati non umani che a Lopburi, in Thailandia, fino a poche settimane fa costituivano l’attrattiva in più per i visitatori dei templi e che oggi sembrano impazziti, corrono gli uni addosso agli altri e, se necessario, contro i primati umani, per cercare disperatamente, ovunque, quel cibo che nessun turista offre più, perché di turisti non c’è più traccia per colpa del nuovo coronavirus. Una cartolina dai primi effetti della pandemia sull’industria turistica, come hanno scritto i giornali. Ma questa scena è anche, a sua volta, la rappresentazione plastica, mutatis mutandis, proprio di uno di quei pericolosi contatti tra specie che hanno portato alla pandemia di COVID-19.
“Non prediamocela con la Cina. La prossima pandemia può arrivare da qualunque paese”, titola un recente articolo del Time che si focalizza sul commercio di animali selvatici. Perché la tempesta perfetta che ha portato alla pandemia che viviamo oggi ha radici più che note, ricorrenti in vastissime zone del pianeta, che da anni tutti gli esperti della materia cercano di far comprendere ai decisori e alle opinioni pubbliche mondiali, con scarso successo. Nel 2017 una significativa copertina dello stesso Time titolava, in un riquadro come quello dei pacchetti delle sigarette su uno sfondo rosso fuoco con il virus Ebola in controluce: “Attenzione: non siamo pronti per la prossima pandemia”.
Pochi mesi dopo, nel 2018, la commissione dell’OMS R&D Blueprint rendeva pubblico un rapporto nel quale si indicavano le malattie sulle quali concentrare gli sforzi soprattutto in termini di ricerca per i vaccini e i farmaci, e per la messa a punto di strategie preventive. Oltre alle febbri emorragiche Ebola, Nipah, Lassa, alla febbre della Rift Valey, a Zika, alla SARS e alla MERS, si segnalavano nuove possibili infezioni da coronavirus altamente patogeni, e poi la malattia X. Quest’ultima – si leggeva – sarebbe comparsa in un mercato alimentare di qualche paese orientale, in sordina. Sarebbe stata confusa con altre patologie quali la normale influenza, e per questo si sarebbe rapidamente diffusa in tutto il mondo. Avrebbe arrecato enormi danni economici anche prima di diventare una pandemia.
Qualcosa di simile lo disse pochi mesi dopo Bill Gates, probabilmente allarmato da quello come da altri rapporti che pubblicati periodicamente ormai da anni. Che dicono tutti la stessa cosa: una delle cause principali degli spillover, del salto di specie dei virus dagli animali all’uomo, è il contatto con gli animali selvatici reso sempre più frequente dal restringimento dei loro habitat causato dall’antropizzazione, dalla caccia di alcuni di questi animali, dalla globalizzazione, dall’aumento della popolazione umana.
Di questo il Tascabile ha parlato con David Quammen che già nel 2012 aveva raccontato le dinamiche delle epidemie, e che cosa si poteva imparare da alcuni dei casi più gravi del passato, nel suo bestseller internazionale Spillover (in Italia per Adelphi, con la traduzione di Luigi Civalleri). Il suo ultimo libro, The Tangled Tree (in uscita sempre per Adelphi nei prossimi mesi) non è dedicato a pandemie e virus, ma parla di aspetti che comunque c’entrano, e non poco, con la situazione che stiamo vivendo.
Partiamo dal video delle scimmie: che cosa ci racconta?
Ci ricorda innanzitutto che gli animali selvatici – come quei macachi, che sembrano così intelligenti e innocui per l’uomo – non sono animali da compagnia. Sono creature selvatiche, che vengono attratte dalle offerte di cibo umano grazie al loro naturale opportunismo e a causa delle crescenti difficoltà che incontrano a trovare abbastanza cibo altrove. Per questo vanno nei templi o in altri luoghi dove gli umani si ritrovano, per turismo o per culto, e accettano volentieri quelle che per loro sono vere prelibatezze. Anche direttamente dalle loro mani.
Ed ecco un modo eccellente, per gli umani, per infettarsi con un virus dei macachi: l’innaturale contatto ravvicinato tra la nostra specie e la loro. E questo nonostante sappiamo che uno dei virus che li infettano, della famiglia degli herpes chiamati B (o, appunto, virus dei macachi), possa infettare anche l’uomo, sia pure raramente. E quando accade, il tasso di mortalità è superiore al 50%.
Un’altra forma di contatto innaturale tra esseri umani e animali selvatici è la distruzione dei loro ecosistemi, la deforestazione, la realizzazione di campi per depositare il legname, l’apertura di miniere e, non certo da ultimo, la cattura di animali selvatici vivi, il trasporto nei mercati e il loro utilizzo come fonte di cibo. Tutti gli animali selvatici ospitano virus, spesso senza alcun segno di malattia. Quando entriamo in contatto stretto con questi virus, regaliamo loro l’opportunità di infettare anche noi. E se lo fanno, e sono altamente adattabili, possono replicarsi in fretta, causare malattie e trovare il modo di riprodursi ancora meglio, passando da un umano all’altro, come il nuovo coronavirus.
Proprio per questo la Cina, dopo un iniziale tentennamento e l’emanazione di una timida sospensione del commercio di animali selvatici, il 12 febbraio sembra aver cambiato atteggiamento. Il Partito Comunista ha varato una legge che vieta del tutto il commercio di animali selvatici a scopo alimentare, includendo nel divieto anche i ristoranti specializzati, anche se ha lasciato fuori un’altra parte importante del traffico, quella finalizzata a procurare ingredienti per la medicina tradizionale.
Le leggi e i regolamenti varati dal governo cinese per vietare la vendita di animali selvatici a scopo alimentare sono un grande passo in avanti nella giusta direzione. I cosiddetti wet market come quello di Wuhan da cui si ritiene sia partita l’infezione da Cod-19 [mercati nei quali si trovano animali delle specie più disparate, quasi sempre vivi e uccisi sul momento, con tutto quello che ne consegue in termini di dispersione di fluidi biologici, contaminazioni, contatti, ndr], nei quali ha luogo quel tipo di commercio, sono luoghi perfetti per gli spillover dagli animali all’uomo di nuovi, pericolosi virus. Norme simili erano già state emanate in Cina, per esempio dopo la SARS, nel 2002-2003, ma dopo qualche tempo sono state ignorate a causa del fiorente mercato nero, o direttamente abrogate. Speriamo che oggi questo non succeda. In ogni caso è bene ricordare che quelle leggi non bastano. Devono essere molto restrittive, permanenti e soprattutto si deve fare in modo che siano rispettate. E poi dobbiamo tenere sempre a mente che non tutta la responsabilità ricade sulla Cina. Ognuno di noi, con le nostre scelte di consumatori, esercita una grande pressione sugli ecosistemi ancora selvaggi nei quali si celano così tanti virus. Possiamo scegliere che cosa acquistare, e come vivere.
Non si può più ammettere che si mangino animali selvatici. Ma anche gli allevamenti sono spesso origine di epidemie e di spillover. Come se ne esce?
È vero, l’agricoltura e l’allevamento industriali, così come gli allevamenti domestici, possono costituire situazioni che permettono e facilitano la diffusione dei virus. È accaduto per esempio per il virus Nipah, nel 1998, in Malesia. Lì c’erano allevamenti intensivi di maiali, nel nord del paese, con porcilaie all’aperto, rese più ombrose da alberi da frutto. Quegli stessi alberi, però, attiravano i pipistrelli, che avevano perso gran parte del loro habitat naturale a causa della deforestazione e per questo si spingevano fino a quegli alberi da frutto. Ma così le loro deiezioni (feci e urina) cadevano direttamente sui maiali insieme alla frutta, o nel terreno dove i maiali stavano tutto il giorno. In questo modo i maiali si sono infettati con un virus dei pipistrelli, in seguito chiamato Nipah, e gli allevatori e i rivenditori si sono infettati dai suini. Di Nipah morirono più di cento persone.
L’allevamento su scala industriale dei suini e degli altri animali, che spesso ha dimensioni gigantesche, comporta costi e rischi per l’ambiente, e gli spillover zoonotici sono solo uno di questi. Se si ha intenzione di mangiare carne o pollame è meglio acquistarli da piccoli allevatori, che di solito lavorano in situazioni di maggiore equilibrio con l’ecosistema circostante. Resta il fatto che noi umani ci siamo riprodotti così tanto – ora siamo 7,7 miliardi – che è comunque impossibile produrre carne e pollame per tutti in modo “biologico” o comunque su piccola scala.
Anche sul fronte dei farmaci e dei vaccini la situazione non è incoraggiante, e fino a oggi è stato fatto troppo poco. Per esempio, nel caso della SARS, la ricerca stava procedendo speditamente, ma poco dopo la fine della crisi si è arenata, e non siamo mai arrivati a un vaccino, nonostante i richiami di agenzie come l’OMS. Questa pandemia servirà a far cambiare atteggiamento e a dare nuovo impulso alla ricerca?
Spero che questo evento straziante serva da lezione, sì, e che i leader nazionali, i politici degli organi legislativi e i burocrati che gestiscono le agenzie la recepiscano e inizino un cammino che ci porti a una conoscenza più approfondita di questi fenomeni e degli strumenti per contrastarli. I migliori tra i nostri scienziati, invece, non hanno alcun bisogno di lezioni: sanno già, e da tempo. Molti di loro hanno lavorato duramente per anni, scoprendo nuovi virus potenzialmente pericolosi, studiando possibili terapie e cercando di sviluppare nuovi vaccini. E alcune grandi organizzazioni no profit hanno supportato questo enorme lavoro. Una di queste è la CEPI, la Coalition for Preparedness Innovation, finanziata dalla Gates Foundation, dal Wellcome Trust e da alcuni governi tra i quali quello della Norvegia e quello del Giappone, che sostengono la ricerca sui vaccini.
Spillover ha almeno in parte predetto la pandemia di COVID-19. Oggi che, a distanza di anni, il libro sta addirittura tornando in classifica, il mondo ha capito che cosa sta fronteggiando? Come giudichi la situazione attuale?
Purtroppo il mondo non ha ancora capito questa malattia, il COVID-19, né il virus che la provoca, il SARS-CoV-2. Neppure io l’ho capito. Non sappiamo cosa accadrà. Si diffonderà in tutti i paesi, infettando centinaia di milioni di persone e uccidendone il 2% o il 7%? Oppure riusciremo a tenerlo sotto controllo con misure di sanità pubblica, con la collaborazione tra autorità e cittadini, con la buona scienza, in modo che i suoi effetti siano meno spaventosi? Non lo sappiamo. Perché non lo sappiamo? Perché ci troviamo a fronteggiare due tipi di imprevedibilità: il comportamento umano è imprevedibile. E il comportamento del coronavirus è imprevedibile.
Nel tuo ultimo libro, The Tangled Tree (elogiato anche da Nature nel 2018) fai un passo ulteriore rispetto a Spillover e racconti di come stia cambiando l’idea stessa di specie vivente, grazie alle scoperte rese possibili dalle tecniche genetiche degli ultimi anni. Per esempio, oggi sappiamo che specie diverse di batteri possono scambiarsi specifiche sequenze di DNA a loro favorevoli come quelle che conferiscono resistenza agli antibiotici (è una delle vicende raccontate nel libro), o che nell’organismo ci sono vestigia di specie ancora per lo più sconosciute come i mitocondri.
Il mio libro parla dell’albero della vita, inteso come immagine della storia evolutiva, e di come tale immagine sia stata rivista di recente, negli ultimi quarant’anni, grazie alle scoperte della biologia molecolare e, in particolare, al sequenziamento dei genomi. Esplora i modi in cui le specie viventi si sono evolute nel tempo. Racconta come alcune di esse, nel tempo, abbiano acquisito nuovo materiale genetico – la materia prima dell’evoluzione per la selezione naturale, il meccanismo di Darwin – in modi non ipotizzabili ai tempi di Darwin stesso, visto che non c’era la tecnologia per sequenziare i genomi. Ma al tempo stesso conferma che l’idea di base, quella della selezione naturale, è tutt’ora più che valida e lo è per tutta l’evoluzione. La fonte della materia prima, la variazione genetica all’interno delle popolazioni, ora è più chiara grazie alle ricerche degli scienziati di cui racconto nel libro (tra i quali mi piace ricordare soprattutto un uomo testardo, eroico e fantasioso: Carl R. Woese, scomparso nel 2012).
Questo ha poco a che fare con le malattie virali e con gli argomenti di Spillover, tranne che per un fatto: entrambi i libri esplorano l’importanza dell’ecologia e della biologia evolutiva per capire la vita sulla Terra, compresa quella umana. Ho scritto The Tangled Tree, tra l’altro, perché negli Stati Uniti abbiamo un problema: alcuni dei nostri politici più potenti (incluso l’attuale presidente e il suo vice) hanno una scarsa comprensione – a volte un vero e proprio disprezzo – per la scienza in generale e per la teoria dell’evoluzione di Darwin in particolare. Ma se non credi nell’evoluzione, non credi neanche nella medicina moderna, perché anche quest’ultima discende dalla prima.