

H aworth, cittadina del West Yorkshire ai piedi dei Monti Pennini, ha un’altitudine media di 234 metri. La via principale sale ripidissima verso la brughiera, tanto che le vecchie case edificate ai lati possono mostrare una facciata di soli due piani e al tempo stesso nasconderne sul retro anche cinque o sei, assecondando la discesa della collina a picco verso la vallata. In cima alla Main Street, davanti a un vecchio cimitero, si trova la canonica dove Charlotte, Emily e Anne Brontë vissero le loro brevi vite e scrissero opere immortali ispirate dal vento dell’ovest, che batte le brughiere tra Yorkshire e Lancashire con velocità medie di oltre 19,3 chilometri orari nelle stagioni fredde, arrivando fino a 22,4 nel mese di gennaio. “Wuthering” di Wuthering Heights (1847) significa proprio “un vento che soffia molto forte”: ed ecco che già nel titolo del suo romanzo Emily Brontë lega strettamente una storia di passione, vendetta e amore universale alla particolare natura della terra in cui è vissuta. «E vedremo se un albero non crescerà storto come un altro con lo stesso vento a piegarlo» (capitolo 17) è la sfida che Heathcliff lancia alle nuove generazioni di Cime Tempestose, utilizzando il vento come metafora di sé stesso. Di fatto, Heathcliff si è formato nell’immaginazione di Emily quale incarnazione delle rigide condizioni atmosferiche che lo hanno modellato e che si riflettono nella sua indole violenta e nelle sue trascinanti emozioni.
Anche le storie di Charlotte e Anne e del fratello Branwell sono intimamente connesse alla brughiera che le ha generate: per questo visitare Haworth significa immergersi nella vita della famiglia Brontë. Uno dei modi per raggiungere la cittadina è prendere a Keighley il treno a vapore di una linea privata che trasferisce subito nell’aura dell’epoca. La canonica è oggi sede del Brontë Parsonage Museum, che ricrea l’atmosfera spartana della vecchia dimora famigliare e che da solo richiama 85.000 visitatori ogni anno. Chiunque si rechi in visita a Haworth non potrà fare a meno di notare come l’amore per la famiglia Brontë e per la sua eredità letteraria abbia contribuito alla conservazione del villaggio: dall’acciottolato di Main Street alle numerose botteghe dall’aspetto quanto più possibile vicino all’originale, come il negozio dove le tre sorelle si procuravano il materiale per scrivere. Un amore che si spinge fino a contemplare anche l’ambiente naturale circostante: dalla Brontë Waterfall, dove i giovani scrittori erano soliti scortare gli amici o ritirarsi in silenzio, fino a Top Withens e Ponden Hall, ritenute rispettivamente l’ispirazione per Cime Tempestose e Thrushcross Grange nel romanzo di Emily, l’intera brughiera di Haworth è un luogo di culto per i brontëani di tutto il mondo. Di più: dopo l’abbattimento dell’albero del Vallo di Adriano, i due sicomori che segnano il punto in cui si trovano le rovine di Top Withens sono forse i più amati in tutto il Regno Unito.
Chiunque si rechi in visita a Haworth non potrà fare a meno di notare come l’amore per la famiglia Brontë e per la sua eredità letteraria abbia contribuito alla conservazione non solo del villaggio, ma anche dell’ambiente naturale circostante.
Tra le voci degli oppositori si sono levate quelle di varie organizzazioni ambientali, preoccupate per la compromissione del ruolo che le torbiere hanno storicamente svolto nel mitigare le inondazioni, nonché per il rilascio del carbonio immagazzinato nel suolo. Joseph Holden, professore di geografia dell’Università di Leeds, ha spiegato come l’entità del danno supererebbe la grandezza delle singole turbine e delle loro fondamenta, giacché per ciascuna di esse si renderebbe necessario costruire una strada di accesso e interrare grossi cavi per collegarle alla rete elettrica nazionale, causando così la distruzione su larga scala della torba. Sono stati messi in luce anche i rischi per la fauna e in particolar modo per gli uccelli nidificanti, che verrebbero a perdere siti critici per la nidificazione trovandosi costretti a migrare in aree subottimali, qualora riescano a evitare collisioni fatali con le pale rotanti. Tuttavia, il peso più determinante nel blocco del progetto è forse quello che hanno avuto i membri della Royal Society of Literature e della Brontë Society, società storica che si occupa di promuovere e preservare l’eredità materiale e culturale della famiglia di scrittori, i quali hanno preso apertamente posizione dichiarando come lo sviluppo del progetto avrebbe «un impatto significativo e dannoso […] su un paesaggio di fama mondiale».
Oggi la brughiera delle sorelle Brontë è diventata la settima riserva naturale nazionale (nonché prima nel West Yorkshire) della King’s Series of National Nature Reserves, piano con cui il governo britannico si è impegnato a nominare venticinque nuove riserve naturali in un periodo di cinque anni dall’incoronazione di Re Carlo III. La Bradford Pennine Gateway National Nature Reserve, questo il suo nome ufficiale, copre 1.274 ettari, di cui 738 (cioè il 58%) sono stati indicati come Site of special scientific interest (SSSI). La riserva è stata designata quale sede per studi e ricerche sul campo in collaborazione con università e college locali in vista dell’assegnazione dello status di Città della cultura per il 2025 alla città di Bradford. La creazione della Bradford Pennine Gateway, che collega otto siti naturali nell’area di Bradford e dei Pennini meridionali, segna un passo cruciale nel percorso di recupero degli ambienti naturali, non solo nello Yorkshire ma in tutto il Regno Unito, marcando un’importante vittoria della letteratura sull’economia green. Grazie alle suggestioni evocative con cui una famiglia di scrittori ha saputo animarle, le brughiere di Haworth sono diventate un patrimonio culturale protetto e tutelato, il che induce a porre una domanda interessante e ancora poco esplorata: che ruolo può avere la letteratura nella salvaguardia di ecosistemi e territori?
Educare alla conservazione ambientale con le opere letterarie
Nel 1810 William Wordsworth pubblica la Guide to the lakes, in cui espone il resoconto di una salita su Scafell Pike, la montagna più alta d’Inghilterra. Il racconto è l’occasione per descrivere il Lake District, dove il poeta visse e trasse ispirazione per gran parte dei suoi lavori. In esso Wordsworth non si limita a descrivere il paesaggio, ma si concentra piuttosto sull’intento di trasmettere l’esperienza emotiva che la natura suscita in lui. Alcuni critici hanno notato come lo stile e il contenuto della Guide sembrino a loro volta ispirati a un’altra opera, Julie, ou la nouvelle Héloïse di Jean-Jacques Rousseau, ambientata nella regione delle Alpi svizzere di Vevey. Pur non contenendo una descrizione specifica del paesaggio alpino, il romanzo di Rousseau evoca infatti la bellezza naturale della regione utilizzando l’ambiente per restituire una specifica atmosfera e descrivere il rapporto intimo tra esseri umani e natura. Si crea così un doppio movimento: da un lato il resoconto di Wordsworth mostra l’impatto che la visione di Rousseau ha avuto sulla sua percezione del Lake District; dall’altro la versione di Wordsworth è destinata a influenzare il modo in cui i visitatori successivi (tra i quali Branwell Brontë) vivranno l’esperienza di scalare Scafell Pike.
Grazie al lavoro di una famiglia di scrittrici, le brughiere di Haworth sono diventate un patrimonio culturale protetto e tutelato, il che induce a domandarsi che ruolo possa avere la letteratura nella salvaguardia di ecosistemi e territori.
Che le opere letterarie siano in grado di sensibilizzare alla tutela dei territori e degli ecosistemi è la premessa alla base dell’ecoletteratura, disciplina ibrida che si pone come obiettivo quello di operare modifiche nel comportamento e nella mentalità utili a superare la crisi ambientale. Uno studio condotto nel 2023 da un gruppo di ricercatori dell’Universitas Islam Sumatera Utara, in Indonesia, su una selezione eterogena di opere a sfondo naturale osserva come queste svolgano un importante ruolo nella conservazione dell’ambiente e al tempo stesso nella formazione di una coscienza critica sull’importanza di mantenere l’integrità degli ecosistemi. Esperimenti interessanti in questo ambito esistono anche nel nostro Paese e si segnalano in particolare quelli condotti da ZEST, progetto di divulgazione letteraria fondato nel 2016 e dal 2024 attivo con una propria casa editrice. Tra le varie attività di ZEST si annovera la curatela di festival che prevedono al loro interno la presenza di panel internazionali, mostrando così una serie di punti di una geografia culturale che si possono unire.
La preoccupazione per la conservazione degli ecosistemi e la consapevolezza che la letteratura possa avere un impatto significativo sulla coscienza umana del cambiamento hanno influenzato anche gli studi critici. Nel luglio 2013 il Dipartimento di inglese del St. Xavier’s College for women, in India, ha organizzato il primo seminario sull’ecocritica, con l’intento di sensibilizzare i lettori sull’urgenza del tema e sull’utilità di alcune delle aree studiate, selezionate dai relatori in collaborazione con attivisti ambientalisti.
Un recente studio condotto in Indonesia rivela come le opere a sfondo naturale svolgano un importante ruolo nella conservazione dell’ambiente e nella formazione di una coscienza critica sull’importanza di tutelare l’integrità degli ecosistemi.
è in quel decennio, infatti, che si è affermato il cosiddetto Ecocriticism. Più di recente, lo studio ecologico della letteratura si è diffuso anche in Europa e in Italia, con premesse e obiettivi in parte diversi dal modello americano. La differenza principale dipende da una diversa idea di natura e paesaggio: nella cultura americana prevale il valore della wilderness, la natura incontaminata e disabitata; nel contesto italiano, ambienti e paesaggi sono determinati da una stretta relazione con la Storia.
Letteratura e wilderness: il caso Big Sur
Oltre 110 chilometri di scogliere a picco sull’oceano, a un’altezza compresa tra i 500 e 1.000 metri: Big Sur, sulla costa del Pacifico a sud di San Francisco, è stato mitizzato da artisti e scrittori per via della sua natura impervia e fortemente ispiratrice. Henry Miller vi si trasferì nel 1944, dopo essere sfuggito all’Europa e alla Seconda guerra mondiale e avere intrapreso un viaggio per «risalire alle fonti della natura e della cultura americana». Dal suo capanno vedeva la foresta precipitare verso le onde spumeggianti e le aquile volare sopra i canyon; di notte sentiva urlare i coyote, in «una regione dove gli estremi si toccano, dove si ha sempre un senso di stagione, di spazio, di grandiosità, di eloquente silenzio». Fino agli anni Trenta a Big Sur si arrivava soltanto a piedi o a cavallo: «Avanzare» scriveva Miller «significava lottare contro spine, rovi, liane». Per assecondare il crescente desiderio di sfuggire all’urbanizzazione e tornare alla natura, nel 1937 era stata inaugurata la celebre Highway 1, una delle strade panoramiche più iconiche del mondo. Paradossalmente, l’operazione aveva comportato lo scavo di pareti rocciose «a furia di dinamite», il riempimento di canyon e l’abbattimento di molte sequoie, oltre allo scarico di un’enorme quantità di detriti nell’oceano con conseguenze letali per la locale popolazione di abaloni. Nel suo memoriale Big Sur and the Oranges of Hieronymus Bosch (1957), Miller notò come l’apertura della strada avesse portato un numero crescente di turisti a riversarsi nella zona ed espresse il timore che il suo carattere speciale venisse rovinato. Cinque anni dopo gli fece eco Jack Kerouac, che nel suo romanzo Big Sur (1961) prese atto di come la cultura dell’autostop fosse cambiata, vedendo sfilare «un’elegante station wagon dopo l’altra».
Oggi Big Sur attrae più di 4 milioni e mezzo di visitatori all’anno (stima: See Monterey), più dello Yosemite National Park. A differenza di quest’ultimo, però, non dispone delle infrastrutture adatte per gestire grandi folle e la sua struttura geologica ha risentito drammaticamente dello scavo dei monti Santa Lucia per fare spazio alla strada panoramica, attraversata dalla faglia San Gregorio-Hosgri. Le conseguenze si sono intensificate nell’ultimo decennio a causa di ripetuti incendi e dell’accelerare della crisi climatica: forti piogge seguite a mesi di siccità hanno fatto crollare a più riprese pezzi di corsia, dislocando oltre un milione di metri cubi di terra e detriti e bloccando per mesi l’accesso da sud a gran parte del Big Sur. Tuttora la strada è parzialmente chiusa e la riapertura completa viene continuamente rimandata perché la parte franata è ancora in movimento, con uno spostamento calcolato di un piede (circa 30 centimetri) al giorno. La maggior parte dei residenti non ha dubbi sul fatto che la costa si stia sgretolando in mare. La combinazione di incendi, che aumentano la suscettibilità del territorio all’erosione, e di piogge torrenziali è la ricetta perfetta per un continuo incremento delle frane. Al pari di altre destinazioni privilegiate nel mondo, Big Sur si trova dunque ad affrontare la difficile sfida di mantenere un’economia fondata sul turismo e al tempo stesso limitare l’impatto che questo ha sull’ambiente.
Con simili dati la situazione si complica e ci spinge ad addentrarci in luoghi spinosi per trovare risposta alla nostra domanda. E se, come suggerisce il New York Times, fosse proprio l’amore che nutriamo per i luoghi letterari quello che li sta uccidendo?
Il turismo letterario in Italia, tra Storia e strumentalizzazione
In Italia si è sviluppato addirittura un sistema di Parchi letterari, organizzati attorno a uno scrittore o a una scrittrice e ai suoi luoghi di creazione, con l’idea di «ricercare e animare di suggestioni evocative i luoghi che hanno visto la presenza fisica e interpretativa di grandi letterati». Se il primo Parco letterario è stato creato in Norvegia, Giovanni Capecchi ne fa risalire l’origine nel nostro Paese alla Fondazione Ippolito Nievo, che nel 1992 ha fondato il Parco nieviano per preservare i luoghi e le vicende narrati in Le confessioni d’un italiano, con particolare attenzione per il Castello di Colloredo di Mont’Albano, parzialmente distrutto da un terremoto.
Il caso di Big Sur, un luogo invaso dal turismo anche per via del suo status letterario, pone un interrogativo di segno opposto: e se l’amore che nutriamo per i luoghi letterari, lungi dal tutelarli, finisse per condannarli?
Nonostante queste difficoltà il dispositivo dei Parchi letterari continua a funzionare e il 24 luglio 2024, a San Terenzo, nel cuore del Golfo della Spezia, è stato inaugurato il Parco letterario Percy Bysshe Shelley. Fu infatti alla Villa Magni di San Terenzo che nel 1822 Shelley decise di passare l’ultima estate della sua vita insieme alla moglie e alcuni amici: è anche per il loro passaggio che il luogo è oggi noto come Golfo dei poeti. Il percorso ideale del Parco va dal giardino di Villa Magni al Monte Rocchetta che lo sovrasta, passando per il punto panoramico noto come Pietraia da cui si può godere della vista di quel golfo dove Percy trovò la morte. Mary Shelley ne parlava come di uno scenario «di una bellezza inimmaginabile […] come se ne vedono soltanto nei paesaggi di Salvator Rosa». Chissà cosa penserebbe se sapesse che quel golfo tanto amato è oggi occupato da un vero e proprio ecomostro il cui muro di cinta preclude l’accesso al mare. Si tratta dell’Arsenale della Marina militare, inaugurato nel 1869 e progressivamente abbandonato dopo aver perso più di 10.000 lavoratori e lavoratrici nel corso di una settantina d’anni. Secondo William Domenichini, membro dell’associazione Murativivi e autore del libro Il golfo ai poeti, No Basi Blu (2023) l’Arsenale è una «discarica vista mare» e presenta «una quantità di amianto impressionante», oltre a siti contaminati, sversamenti a mare e rischi nucleari. Benché la struttura si estenda all’interno del centro storico di La Spezia, coprendo una superficie totale di 900.000 m² e sviluppando un reticolo stradale di circa 13 km, oltre a 6,5 km di banchine che circondano quasi 1.400.000 m² di specchi acquei, non c’è in vista alcun piano di recupero o di riattivazione dei tanti capannoni abbandonati. È invece in atto la procedura di adeguamento agli standard NATO avviata dal Genio della Marina nel 2022, nell’ambito del programma Basi Blu: un progetto spacciato come “green” che in realtà non ha nulla di sostenibile e che porterà a un ulteriore ampliamento delle infrastrutture portuali militari per una spesa complessiva di 354 milioni di euro.
Chissà cosa penserebbe Mary Shelley se sapesse che quel golfo tanto amato è oggi occupato da un vero e proprio ecomostro il cui muro di cinta preclude l’accesso al mare.
Se l’amore (per la letteratura) non basta
Quello del Golfo dei poeti non è certo un caso isolato, così come non lo è Big Sur; entrambi però ci aiutano a capire come l’amore per la letteratura, da solo, non sia sufficiente a salvaguardare territori ed ecosistemi quando le forze in gioco hanno nomi come collasso climatico, economia capitalista, assetto imperialista e overtourism. Il dispositivo del Parco letterario può essere interessante ma mostra tutti i suoi limiti proprio attraverso le iniziative che promuove, che sono slegate dalla comunità, alimentate da un motore politico e prive di continuità. Già nel 2003 Dai Prà notava l’assenza di una legislazione specifica che regoli modalità di attuazione e di gestione dei Parchi, che insieme all’«utilizzo prezzolato dei marchi registrati» rischiava di far scadere un progetto nato con finalità culturale in un prodotto alla moda di stampo anglosassone. Per le stesse ragioni è difficile attuare una vera didattica letteraria e ambientale nelle scuole, se tutto dipende dagli umori del dirigente scolastico di turno; eppure, questo avrebbe una messa a terra molto più concreta, con il coinvolgimento di studenti e studentesse anche nel periodo estivo.
Quello di cui avremmo bisogno è un cambio di prospettiva radicale: una visione nuova, in grado di rivelare la bellezza degli ecosistemi al di là del loro potenziale di sfruttamento ai fini del profitto.
Quello di cui avremmo davvero bisogno, in sintesi, è una classe intellettuale meno inerte, che trovi il coraggio di uscire dalle proprie fortezze costruite attorno al privilegio, di una classe politica non asservita alle ingerenze straniere e, per tutti e tutte, di un cambio di prospettiva radicale: una visione nuova, in grado di rivelare la bellezza degli ecosistemi al di là del loro potenziale di sfruttamento ai fini del profitto, che affranchi la Storia da ogni tentativo di strumentalizzazione sia nel senso revisionistico della propaganda che in quello predatorio del marketing. Solo così potrà emergere la nuova letteratura dell’Antropocene.