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Giacomo Giossi
30.5.2025

Per espresso desiderio di Edgardo Franzosini

Giacomo Giossi collabora con giornali e riviste.
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D iciotto sono i volumi che compongono il diario di Paul Léautaud, una vera e propria opera letteraria fatta del racconto minimo di una quotidianità intima e privata. Un capolavoro dentro al quale si possono ritrovare compiutamente molti dei sentimentalismi e dei patetismi tipici del maschio del Novecento. Un’erotica del maschile fatta di slanci amorosi quanto aggressivi, che si sostanzia di quel gesto sconsiderato, e sempre al limite, del seguire con lo sguardo e a distanza la donna, le donne, come forma principale (spesso unica) di scoperta della realtà. Il confine tracciato attorno all’idea di donna, o appunto delle infinite donne, diviene una vera e propria poetica di vita fragile e delicata per Léautaud. Ogni volta che quel limite viene varcato, l’esistenza assume i tratti dell’imbarazzo come dell’infamia, della vergogna come del godimento più sorprendente. Un circolo ozioso e vizioso a tratti fondamentalmente infantile.

Il continuo ritorno al corpo femminile inteso come umanità estranea da sé non è altro che per Paul Léautaud la ricerca ossessiva, erotica e incestuosa della giovane madre che lo aveva abbandonato appena nato e mai più voluto incontrare fino all’età adulta. Una forma di attrazione quella dello scrittore francese sì fortemente maschile e in parte parallela a quella virile del maschio conquistatore e cacciatore, ma a cui in realtà si oppone fortemente con una delicatezza esposta e languida e un’incapacità perenne e ostinata alla scelta, a qualunque scelta. Ogni donna per Léautaud è tutte le donne, ma soprattutto la donna è sempre presente in ogni suo ruolo: madre, sorella e amante.

Il continuo ritorno al corpo femminile inteso come umanità estranea da sé non è altro che per Paul Léautaud la ricerca ossessiva, erotica e incestuosa della giovane madre che lo aveva abbandonato appena nato e mai più voluto incontrare fino all’età adulta.

È commosso Antoine Doinel quando nel suo tardo, ma frenetico risveglio scopre il regalo che gli ha fatto Sabine: i diciotto volumi del diario di Paul Léautaud. La scena, contenuta in L’amore fugge (1978, ultimo film del ciclo di Doinel di Truffaut), è forse quella che più esplicita il rapporto stretto tra François Truffaut e Paul Léautaud, e di conseguenza tra lo scrittore e il personaggio di Antoine Doinel ‒ interpretato da Jean-Pierre Léaud ‒ che di Léautaud ricalca in parte la biografia in una mimesi che vede coinvolto in un ballo a tre lo stesso Truffaut. Doinel ricalca infatti sentimentalmente l’agire e la velocità frenetica che caratterizzano un’indolenza perennemente giovanile raccontata sempre in prima persona anche nei romanzi brevi di Paul Léautaud. Una cultura privata e solo apparentemente disordinata che non è mai un’autarchia e non si contraddistingue mai con la severità ideologica del dilettante, ma anzi del dilettante coglie esclusivamente la possibilità di un gioco libero e ingenuo. Un modo per far saltare le regole sociali ed essere così sempre scompostamente eleganti. Un fuori tempo ostinato che dà il segno di uno sguardo ampio, di un’energia elastica che sorprende e stupisce. Non dunque un atleta che performa, ma un acrobata che sorprende nella bellezza di un gesto privo di ogni scopo strumentale.

Paul Léautaud è un dandy, un camminatore e soprattutto un amante degli animali, forse gli unici esseri su cui riesce a riversare un amore che non sia vergato da un’ossessione colpevole e compulsiva. Le sue pagine di diario svagano e ritornano, come anche le sue critiche teatrali, attorno ai gatti randagi che popolano la sua misera casetta alle porte di Parigi, nel villaggio di Le Plessis-Robinson dove troverà la morte il 22 febbraio del 1956 a ottantaquattro anni. Scrittore francese nell’essenza, amico di André Gide a cui dedicherà uno dei suoi famosi e bellissimi necrologi (e qui non può non tornare alla mente ancora Truffaut e il protagonista del suo La camera verde del 1978, Julien Davenne interpretato dal regista stesso), Paul Léauteaud è il protagonista dell’ultimo romanzo di Edgardo Franzosini, Per espresso desiderio (2025).

Franzosini abile indagatore delle ossessioni, letterarie in particolare, illumina così la vita di Paul Léautaud attraverso quello che è il primo vero incontro tra lo scrittore francese e la madre, che avvenne nei giorni della morte dell’amata zia a casa della nonna che lo aveva cresciuto. Un incontro denso di ansia e di aspettativa, di paura e di rimorso per lo scrittore, allora poco più che trentenne, tanto più nel momento in cui si trovava a casa della nonna materna e al capezzale della zia Fanny:

Come sono disgustose, pensò Paul, le cose che precedono la morte. Non era la prima volta che vedeva morire qualcuno. Tempo prima avevo visto morire all’ospedale un’amica, la Perruche. Peritonite o qualcos’altro. La Perruche faceva la vita. Una puttana a buon mercato. Una mattina erano venuti a casa ad avvisarlo che stava molto male. Quando le si era avvicinato, c’era un’infermiera accanto al suo letto. Bianca e rossa, in piena forma. Che salute, aveva pensato guardando le sue rotondità.

Con stile quasi telegrafico Franzosini riesce a mimetizzarsi nella prosa di Léautaud, offrendo al lettore un doppio ritratto che è sia biografico sia fortemente e principalmente letterario. L’autore milanese indaga l’opera di Léautaud attraverso le pagine dei suoi diari e attraverso la sua vita, e in particolare nel momento apicale dell’incontro con la madre, restituendo così ai lettori il senso di una letteratura oggi sostanzialmente scomparsa da ogni orizzonte editoriale. Una letteratura che utilizzava l’ossessione ‒ in questo caso il rapporto totale e assoluto con il femminile ‒, per raccontare un’ampiezza esistenziale fitta di sfumature e possibilità. Nessuno è più ossessivo di un ossessivo, ma è proprio in quel movimento maniacale ‒ prima ancora che nell’oggetto dell’ossessione ‒ che è possibile ritrovare pezzi di sé stessi, dinamiche comuni qui illuminate come per magia. Ed è esattamente nell’incontro ravvicinato con la madre che Léautaud rivede all’infuori di ogni schematismo e atteggiamento psicoanalitico (che certamente coesiste), una forma letteraria lucente dettata da un obbligo esistenziale: amare quella madre come una donna e tutte le donne come sua madre.
Con stile quasi telegrafico Franzosini riesce a mimetizzarsi nella prosa di Léautaud, offrendo al lettore un doppio ritratto che è sia biografico sia fortemente e principalmente letterario.

Il padre di Paul Léautaud, Firmin Léautaud era stato un seduttore e un vigliacco. Attore mancato e di mestiere suggeritore teatrale alla Comédie-Française, a cui il figlio aveva dedicato l’aspro La Retraite de Firmin, il padre restò sempre un enigma per il figlio. Un uomo (e un maschio) da cui Paul volle sempre distaccarsi, sempre senza durezza alcuna, ma con una giusta distanza utile a ottenere quel punto d’osservazione sufficientemente chiaro che lui ambiva sempre avere nella vita.

Edgardo Franzosini delinea non solo la biografia e il carattere di uno scrittore appartato, per quanto ancora oggi in Francia considerato come un riferimento da un solido zoccolo duro di lettori, ma prima ancora un’idea di letteratura. Un fare letteratura che oggi appare ridotto ai minimi termini e che, pur avendo da sempre un’accoglienza limitata, rappresenta un discorso centrale e fondamentale nella letteratura. Sia per la densità e la capacità di dare corpo a contraddizioni e conflitti tutti afferenti all’anima umana, sia perché capace di valicare proprio attraverso un racconto (sempre ossessivo) del quotidiano, la quotidianità stessa.

Franzosini delinea non solo la biografia e il carattere di uno scrittore appartato, per quanto ancora oggi in Francia considerato come un riferimento, ma prima ancora un’idea di letteratura.

Léautaud è un autore contemporaneo che evita il presente attuale proprio raccontandolo e trasformandolo così in letteratura: “Lei gli aveva preso la testa tra le mani e lo aveva baciato. Paul aveva sentito contro la guancia la dolcezza dei suoi seni che tremavano mentre lo baciava. La leggerezza con cui lei si era alzata da quel letto! Su una sedia c’era la sua biancheria. Roba elegante”. Allo stesso modo il lavoro dettagliato di Franzosini non è altro che la trasformazione raffinatissima di un’ossessione in letteratura, al punto che il suo Léautaud diviene pienamente un personaggio letterario così come è già successo per il Ravel di quell’abile indagatore di biografie che è Jean Echenoz. Per espresso desiderio è un libro magico, che nasconde un’indagine da libro noir e che ha per protagonista la disperata ossessione di uno scrittore che visse lontano da ogni fragore un secolo così facile all’amore come alle armi.

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