L ’11 settembre 2024 ha aperto al Museo Di Roma in Trastevere una mostra fotografica imperdibile: Dark Portraits di Dino Ignani, ormai un simbolo della Roma goth. Ignani è il fotografo che ha documentato nei primi anni Ottanta la diffusione del movimento dark nella capitale, attraverso i volti dei giovani che – pionieri del movimento – abbracciavano uno stile di vita all’epoca considerato “strano”, come ci confessa lo stesso fotografo, ma che evocava un gusto estetico dirompente che non poteva passare inosservato e che, infatti, è stato poi assorbito anche nei piani alti dello stile e della moda. Detto questo, Ignani è un vero e proprio Maestro della fotografia: dai reportage sociali alle foto dei poeti, fino appunto a questi “ritratti dark”, gli scatti del nostro si riconoscono subito, proprio come potremmo riconoscere la voce di Peter Murphy dei Bauhaus alle prime note di una canzone. Non a caso io stesso, durante il mio periodo dark, non potevo non essere attratto da quelle foto così dirette, che con il loro bianco e nero andavano al sodo senza tecnicismi inutili, portando alla luce quella umanità che da sempre permea la sua opera, a tutti gli effetti un megafono del movimento dark italiano, sia ai suoi inizi che successivamente.
Il tuo nome per me è legato alla rivista musicale Rockstar, che acquistavo quando avevo dieci anni e che è stata fondamentale per la mia formazione. La aprivo e vedevo queste magnifiche foto che mi proiettavano in un mondo incredibile, che all’epoca ero troppo piccolo per vivere direttamente ma che mi affascinava. Sei conscio di aver prodotto degli scatti che hanno cambiato la percezione della realtà a molti?
No, non mi è capitato di riflettere sul fatto che le mie fotografie possano aver inciso. Di sicuro i redattori di diverse riviste del settore musicale si sono interessati al progetto: ne hanno scritto e hanno pubblicato molte di quelle fotografie. Molti tra loro che conobbi e alcuni che tuttora conosco hanno apprezzato il proprio ritratto, anzi, i propri ritratti… perché è capitato di fotografarli più volte in discoteche diverse. Ho visto, poi, l’entusiasmo che manifestavano vedendosi “esposti” nelle occasioni di mostre a loro dedicate. E da lì sono nate grandi amicizie.
Come hai iniziato a fotografare, e perché?
Ho iniziato casualmente: era il 1976 e il mio amico Maurizio, che purtroppo non c’è più, stava facendo un corso di fotografia e vinse una selezione per entrare all’Istituto di Cinematografia. Così abbandonò il corso di fotografia e mi volle prestare la sua macchina fotografica. Cominciai così a fare le mie prime fotografie, mi associai a un fotoclub, iniziai a sviluppare le pellicole e a stampare…
Le tue fotografie esplorano fondamentalmente il mondo dei dark anni Ottanta in una Roma appena uscita dagli anni di piombo (o quasi), e ne fanno praticamente un movimento simbolo di quel periodo. Soprattutto ne fanno un ritratto prettamente italiano, a mio avviso diverso da quello che era il riferimento straniero: qui i dark dovevano sudarsi sia la musica che il look, e avevano forse un approccio più “solare”. Anche tu percepivi questa cosa a suo modo titanica e contraddittoria?
No, in quegli anni mi incuriosiva scoprire solo quel movimento di giovani che si definivano Dark, che era molto diverso dal “movimento” che avevo frequentato e del quale avevo fatto parte alcuni anni prima. Nel “movimento” che avevo frequentato l’io coincideva con il noi, nel movimento Dark questo status si era affievolito: l’individualità era piuttosto visibile, o almeno io la percepivo.
Che cosa ti colpiva di quel look? Il modo in cui indossavano gli indumenti, le sovrapposizioni di accessori…
Quello che nell’abbigliamento era immediatamente evidente era la predominanza del nero, anzi la quasi totalità degli abiti e degli accessori erano completamente neri! Apprezzavo l’eleganza e la ricercatezza nella scelta degli abiti e di come venivano indossati, la cura dei dettagli nell’abbinare gli accessori, in alcuni di loro mi colpiva l’acconciatura dei capelli… tutte queste caratteristiche creavano senz’altro uno stile, uno stile che si è poi diffuso diventando moda.
Per gli scatti prediligi il bianco e nero: una scelta dovuta proprio alla questione estetica della sottocultura in esame o c’è dell’ altro?
La scelta di usare la pellicola in B/N era dovuta al fatto che era la sola che si potesse trattare – sviluppare e poi stampare – in casa senza doverla affidare ai laboratori. Più che una scelta estetica fu una soluzione economica e pratica.
Vorrei approfondire il tuo metodo di stampa o di lavoro, che mi sembra DIY prima che questo fosse la prassi. Puoi raccontarmi come lavori?
Da diversi anni oramai uso solo macchine digitali, quindi non più sviluppo e stampa in camera oscura ma “camera chiara”, e sviluppo dei file RAW e post-produzione con i programmi di fotoritocco. La stampa la affido a un laboratorio, anzi, a uno stampatore di fiducia; le stampanti sono a getto d’inchiostro, i supporti sono le carte-cotone di alta qualità.
Tu sei venuto a contatto quasi casualmente con il movimento dark: come mai ti ha colpito così tanto, cosa ha fatto scattare la molla? Perché altrimenti non è chiaro perché proprio quel movimento e non altri.
Musicalmente eri affine ai gusti gotici? Che gruppi hanno fatto la colonna sonora dei tuoi lavori?
Ignoravo quel genere di musica e i gruppi che la suonavano. Allora ascoltavo rock progressive italiano (la PFM, il Banco, Le Orme) o i Talking Heads, i Pink Floyd… e anche i cantautori italiani (Francesco Guccini, Fabrizio De André, Claudio Lolli, Francesco De Gregori…).
Ma dopo essere entrato in contatto con i dark hai ascoltato qualcosa di quel mondo o no? O li hai sempre guardati da lontano in modo distaccato?
Eccome se l’ho ascoltato! Sia la musica cosiddetta “dark” e poi la “new wave” mi hanno appassionato fin da subito, la ascoltavo sia nelle discoteche dove fotografavo sia poi a casa. Ecco alcuni gruppi che apprezzavo e che tutt’ora a volte ascolto: The Cure, The Smiths, Siouxsie and the Banshees, Echo & the Bunnymen, David Sylvian, Ryuichi Sakamoto e i Litfiba.
I tuoi ritratti hanno la capacità di trasformare quelli che sono ragazzi in cerca di identità in veri e propri eroi metropolitani, trasformando le persone comuni in vere e proprie star. Nell’approccio vedo molto degli acetati di Warhol, attento tanto ai look come anche a fissare su pellicola quel lato oscuro di una filosofia tanto attraente quanto spesso difficilmente sondabile…
Davvero non so cosa pensarne… Sono passati 40 anni, e poi io ho vissuto quel periodo quasi da esterno al movimento dark, anche perché venivo da un periodo di militanza politica, di impegno nel sociale, nei collettivi di quartiere (andavo a insegnare fotografia nei nascenti centri sociali). Faccio il fotografo, e – già da allora – mi considero un fotografo ritrattista, in quelle occasioni avevo tante persone che mi attraeva fotografare e che desideravano farsi fotografare. Allora non c’erano gli smartphone altrimenti presumibilmente non avrei potuto fare quello che poi è diventato un vero e proprio progetto; probabilmente si sarebbero fotografati tra loro, e sarebbe andato bene così. Come ti dicevo, è stato solo il caso che mi ha fatto venire la curiosità di iniziare a fotografare quei nuovi “amici”: l’incontro fortuito in una vineria, la loro evidente diversità rispetto all’ambiente che allora frequentavo: tutto questo ha suscitato il mio interesse.
In questo senso tra i tuoi ritratti ci sono persone che sono poi effettivamente diventati personaggi pubblici?
Sì, da quello che ho saputo poi, alcuni di loro si sono fatti conoscere nel settore della creatività e della loro professione. Preferisco però non nominare nessuno, rischio di dimenticare qualcuno, e non è giusto. Inoltre, di tanti altri non so nulla rispetto ai loro percorsi successivi. Non ricordo di aver fatto nomi in passato e se li ho fatti, ora non me la sento: sarebbero parziali e sarebbe una scorrettezza verso coloro che non ricordo o che ora non mi vengono in mente, o verso coloro dei quali ignoro la loro vita successiva a quegli anni.
La cosa molto interessante è che tu passi a fotografare il mondo dark dopo esserti concentrato sui poeti: hai presenziato al festival di Castelporziano e hai documentato il mondo poetico di fine anni Settanta. Tuttora continui a ritrarre il mondo della poesia con la stessa medesima cura degli scatti che vai mostrando in questi giorni.
Sì, a giugno del 1979 ero tra il pubblico nelle tre serate del Festival Internazionale dei poeti a Catelporziano e, sebbene fotografassi da quattro anni, non ho considerato l’opportunità di fare fotografie. Ovviamente, ancora me ne sto rammaricando.
Quale filo conduttore c’è tra i due mondi secondo te?
Non c’è alcun filo conduttore tra i due progetti, l’unica attinenza è che ho iniziato a fotografare sia i giovani dark sia i poeti quasi nello stesso tempo: 1980-1981.
Raccontami una tua giornata tipo concreta dell’ epoca, mentre rincorri i tuoi modelli da un club all’ altro…
Se uscivo per fotografare una delle serate dark la giornata si concludeva in una delle discoteche: il lunedì all’X-Club, il martedì al Supersonic, il mercoledì all’Olimpo, il giovedì all’Angelo Azzurro, il venerdì al Black Out, il sabato all’Uonna Club e infine la domenica al Piper. Ho partecipato attivamente a eventi, a performance dove la parte fotografica era necessaria sia per la documentazione sia per la finalità creativa dell’evento stesso. E soprattutto si sono create delle amicizie che tuttora resistono. Certo, sono passati 40 anni e io di anni ne ho 74: ho solo qualche ricordo affievolito e probabilmente non significativo, ma questo è.
Spesso si diceva che i dark fossero l’ala “ fighetta” dell’ underground romano, diciamo un po’ i Pariolini della situazione, tanto che da Centocelle i punk working class andavano a menarli nei loro club di riferimento. Questa narrazione è reale o ideologica?
Mai sentito di queste contrapposizioni e mai assistito a dispute verbali o rissose.
I dark in italia erano d’altronde odiati anche dalla frangia paninara, che li derideva spesso nelle sue riviste (famoso anche il film comico Italian fast food con Enzo Braschi in cui viene sceneggiata proprio una lite tipo tra le due fazioni). Come mai secondo te erano tanto scomodi?
Se intendi una contrapposizione come poteva esserci tra i Mods e i Rockers in Inghilterra, io qui a Roma non l’ho percepita.
Bene: ma quindi i dark all’epoca venivano da diverse classi sociali? Oppure erano benestanti? O venivano dritti dal proletariato? Insomma quale era il background di queste persone?
Difficile rispondere a questa domanda: erano tanti. Alcuni venivano dalle periferie romane, alcuni erano universitari fuori sede, alcuni da ceti più abbienti… Si era creata una “collettività” trasversale che si mescolava senza tener conto dell’estrazione sociale. Li accomunavano per lo più i gusti musicali, la ricerca nell’abbigliamento, e il colore nero. Poi ognuno di loro si sentiva affine al proprio piccolo gruppo che nelle discoteche si mischiava con altri piccoli gruppi e assieme confluivano nel grande gruppo. E non ho mai avvertito che potessero essere scomodi a qualcuno.
A proposito di scomodo: il tuo lavoro è legato a doppio filo con quello di Roberto D’Agostino. Come vi siete trovati e cosa ha rappresentato per te la vostra collaborazione?
Roberto a quei tempi faceva delle serate come DJ. Ci siamo conosciuti al Black Out, gli mostrai alcune immagini del lavoro che avevo iniziato già da oltre un anno: gli piacquero e volle farci un lungo articolo corredato da molte fotografie per la bella rivista Rockstar, che prima citavi.
Quali sono i fotografi che più apprezzi e che ti hanno cambiato la vita?
Faccio tre nomi ma ce ne sono tanti altri: Uliano Lucas, Mario Dondero, Ugo Mulas. Li apprezzo sia come fotografi sia umanamente, ma non mi hanno cambiato la vita né il mio modo di fotografare, se devo essere onesto.
Tornando al dark: ci sono delle analogie con i movimenti giovanili di oggi oppure si tratta di qualcosa che non ha avuto eguali? Quali sono oggi le sottoculture che ti interessano?
Non so risponderti, e soprattutto non vorrei dire sciocchezze. Per dirti, siccome ho molte amicizie tra i poeti e gli scrittori mi capita molto spesso andare a letture di poesie e a presentazioni di libri e in quelle occasioni mi capita di sentire tante di quelle cazzate inutili e strampalate (a volte paralleli di giovani poeti attuali per le cui poesie vengono fatti nomi di Leopardi, e a volte ho sentito addirittura paragoni a Catullo, a Orazio)… Quindi non mi va di aggiungere le mie sciocche e incompetenti valutazioni al frastuono di scemenze. Sono ormai distante dalle sottoculture, a dire il vero non ne ho alcuna conoscenza.
E a cosa sei vicino oggi?
Oggi seguo con interesse le grandi tematiche che si occupano di ambiente, del clima, di ecologia. Scritto così sembra un ritornello scontato, ma per me sono tematiche fondamentali.
Quando hai smesso – se hai smesso – di fotografare i dark?
Ho smesso di fotografarli alla fine del 1985, avevo ormai 35 anni e mi ero stancato di uscire di notte, di fotografie ne avevo molte e tanti di quei “giovanotti” li avevo fotografati più volte in serate diverse. Il movimento stava perdendo la coesione e avevo l’impressione che si stesse sfilacciando, disunendo. Anche i componenti di quella grande “squadra” stavano diventando adulti e si stavano inserendo “giudiziosamente” nel mondo del lavoro.
Non li fotografo più anche perché non c’è più un movimento dark, vedo in giro degli epigoni ma non si aggregano, non ci sono più le discoteche che propongono la serata dark. Da un po’ di anni sono concentrato su due progetti: i ritratti di poeti e scrittori quando è possibile nelle loro case, e i ritratti di artisti nei loro studi.
Credi che il movimento dark duro e puro (non quello citato in varie situazioni trap ed emo) possa avere un ritorno in auge, un revival di massa? Vista la situazione generale non potrebbe essere più attuale che mai?
Non lo so. All’epoca erano ragazzi e ragazze che girando nelle discoteche e nei club che – a rotazione, durante i giorni della settimana in cui proponevano la “serata Dark” – ballavano, scoprivano la città e forse anche un po’ se stessi, avevano davanti la vita e desideravano appropriarsene. Tutto qui.
Ma tu sapevi ballare?
No! Per quello mi divertivo a fotografare (ride).
Le immagini incluse nell’articolo sono tratte da 80’s Dark Rome di Dino Ignani.