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el 1993 esce Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, il saggio di Francesco Orlando che hanno definito un’opera-mondo. Supportato da un elenco di esempi letterari, Orlando crea una categorizzazione del valore che hanno gli oggetti quando diventano letteratura. Realizza un albero con dodici categorie di ruoli e significati che gli oggetti fisici, nel loro rapporto con il tempo, hanno all’interno di un testo scritto. Una delle prerogative degli oggetti studiati da Orlando è che essi abbiano una “corporeità”; l’altra che siano legati in qualche modo al passato. Tra le dodici categorie esiste quella che il critico chiama del “memore-affettivo”, che si ha quando l’oggetto contiene un ricordo “sentito soggettivamente e presentato con compiacenza”.
A livello storico Orlando rileva che il “memore-affettivo” subentra, come modello, al “monitorio-solenne” e nasce insieme al senso moderno della memoria, che si sviluppa dall’individualismo preromantico e dall’indebolimento delle concezioni religiose del passato e dei morti. Gli oggetti in letteratura hanno l’attributo di “memore-affettivo” quando mantengono una sopravvivenza oltre lo spazio della memoria stessa e quando la loro elencazione crea – con la definizione di Orlando – un “pellegrinaggio sentimentale”. Si contrappone al ricordo a occhi chiusi, che invece cerca di far rivivere il passato senza guardare qualcosa di specifico, e questo pellegrinaggio poche righe più avanti viene definito “tesorizzazione di reliquie”: cioè una modalità letteraria di ricordare il passato tramite l’accumulazione di oggetti e immagini.
Gli oggetti in letteratura hanno l’attributo di “memore-affettivo” quando mantengono una sopravvivenza oltre lo spazio della memoria stessa e quando la loro elencazione crea – con la definizione di Orlando – un “pellegrinaggio sentimentale”.
La casa che fu della loro famiglia unita viene scandagliata nei suoi più piccoli oggetti e ognuno di essi, dando il titolo ai capitoli, contiene archiviato un frammento di vita del passato o del presente dei protagonisti. Alla fine il libro è un vero e proprio elenco, e il romanzo ci fa percepire quella che Umberto Eco chiama Vertigine della lista in un saggio del 2009. Se la teoria di Orlando torna in Inventario di quel che resta per la funzione degli oggetti e del loro legame con il tempo in letteratura, Eco è utile per approfondire la forma-elenco che Ruol utilizza nel suo romanzo. Proprio Ruol, infatti, dirà in un podcast di TerraRossa: “Mi appoggio alle immagini, per questo stile e struttura vanno nella stessa direzione”. La forma-elenco, quindi, non è soltanto la struttura di Inventario ma anche il tratto più caratteristico dello stile di Ruol, che fa coincidere l’organizzazione del libro con l’originalità della sua voce.
Umberto Eco ‒ che come Orlando realizza un elenco di esempi letterari nel saggio in cui parla di liste e oggetti ‒ parte dallo scudo di Achille, perché la descrizione che ne fa Omero gli sembra “l’epifania della Forma, del modo in cui l’arte riesce a costruire rappresentazioni armoniche in cui viene istituito un ordine”. Dare una forma armonica, gerarchica e strutturata all’espressione, permette – secondo Eco – di concentrare l’attenzione solo su quello che viene rappresentato: la forma “limita l’universo del ‘detto’”. Sul piano opposto si trovano le liste: a differenza delle forme limitate che danno confini alla materia, Eco spiega che l’elenco o la lista espandono la possibilità di oggettivare qualcosa di potenzialmente infinito. La forma dà uno spazio finito alla materia, l’elenco invece approssima continuamente la finitezza dell’oggetto di cui si parla e restituisce un’idea di infinito inesauribile.
A differenza delle forme limitate che danno confini alla materia, Eco spiega che l’elenco o la lista espandono la possibilità di oggettivare qualcosa di potenzialmente infinito.
Esiste un altro modo di rappresentazione artistica, quando di ciò che si vuole rappresentare non si conoscono i confini, quando non si sa quante siano le cose di cui si parla e se ne presuppone un numero, se non infinito, astronomicamente grande; o quando ancora di qualcosa non si riesce a dare una definizione per essenza e quindi, per parlarne, per renderlo comprensibile, in qualche modo percepibile, se ne elencano le proprietà.
Parte prima
Casa
ingresso
1. cornice in argento, 15×22 cm
2. telefono fisso, marca Sirio, color avorio
3. mensola stile rococò
4. fermaporta in vetro di Murano
5. bomboniera di matrimonio in cristallo
cucina
6. televisore a tubo catodico 14 pollici
7. cesto di vimini
8. tagliacarte
9. raccolta di calamite su frigo
10. pentolino da latte
11. lavastoviglie da incasso
12. cavatappi a leva
13, noci, n. 7
salotto
14. motoscafo in legno Riva Aquarama, modellino 1:10
15. tappeto Yalameh rosso e blu
16. tavolo 8 posti in castagno, primi del ‘900
17. penna stilografica Pelikan MK10
18. Lindor rossi, incarti
Se aprissimo soltanto questa pagina del libro sarebbe veramente difficile credere che quelle precedenti contengano un romanzo. E invece ogni oggetto puntualmente registrato come in un vero e proprio inventario – anche con le specifiche tecniche – contiene dentro di sé una storia di vita della famiglia protagonista e spostandoci negli angoli della casa, poi dell’automobile, ricostruiamo tutte le loro esistenze. La stessa incredulità davanti a un libro fatto di liste si prova davanti all’ultima uscita della casa editrice Quodlibet, intitolata Guida all’installazione di un futuro me (2025) e scritta da Ugo Coppari. I primi 14 capitoli del libro si intitolano La vita come quantità e il protagonista, prima di consegnarci le sue liste di cose quotidiane, si presenta in questo modo:
Soprattutto è questa la mia ossessione: fare un elenco di quello che ho, di quello che ho fatto, di quello che ho mangiato, di quello che ho prodotto in una giornata, in linea con la tendenza generale alla quantificazione di sé stessi. […] Magari se uno mi vede camminare pensieroso lungo la strada potrebbe credere che sto riflettendo sui massimi sistemi, sul cambiamento climatico o cose simili, ma in realtà non faccio altro che elaborare liste che mi diano la misura della mia presenza nel mondo.
Si ricorre alla lista quando l’argomento di cui si vuole parlare è impalpabile, sfuggente, a volte incomprensibile come – appunto – la perdita in un incidente di entrambi i figli adolescenti per due genitori.
Quando il nonno paterno era stato ricoverato in una casa di riposo, Padre aveva disdetto l’affitto e incaricato una ditta per lo sgombero dell’appartamento. Aveva gestito tutto al telefono, raccomandando alla residenza di avere un occhio di riguardo per quell’uomo silenzioso, e all’impresa di conservare e spedire il suo letto di ragazzo – unico arredo che avrebbe tenuto. Era ampio, in legno massiccio, e a parte le doghe che scricchiolavano un po’ era ancora in ottime condizioni: sarebbe stato perfetto per Maggiore.
Caro Jonathan,
[…] Ho imprigionato nella busta gli oggetti che richiedevi, non escludendo le cartoline di Lutsk, i registri del censimento dei sei villaggi prima della Guerra e le fotografie che tu mi scongiuravi di tenere per cauti propositi.
Una catalogazione, però, può essere di tanti tipi e – riprendendo il titolo di un capitolo di Eco – “C’è lista e lista”. Dal suo punto di vista semiotico Eco differenzia la lista pratica (della spesa, di numeri di telefono, di invitati a una festa) dalla lista “poetica”, cioè che esprime una finalità artistica. Se le liste pratiche assomigliano quasi a una forma, perché devono corrispondere rigidamente al contesto che si propongono di servire; le liste poetiche si fanno “perché non si riesce a enumerare qualcosa che sfugge alle nostre capacità di controllo e denominazione”. Quella di Ruol, seguendo il ragionamento di Eco, sarebbe allora un ibrido. È sia una lista pratica, perché è un inventario strettamente legato alla vera esistenza degli oggetti che popolano la casa dei protagonisti, sia una lista poetica perché risponde alla mancanza di riferimenti fattuali con cui poter immaginare la rivoluzione esistenziale del lutto. Da questo punto di vista l’operazione di Ruol con Inventario rispecchia quella di Barthes con Frammenti di un discorso amoroso: in quel caso Barthes si chiede cosa sia l’amore e, per spiegarlo, sceglie di ricostruirne la forma e le caratteristiche dando le definizioni delle parole che ci si direbbe tra innamorati. Da una parte una lista finita di situazioni (per Barthes) o di oggetti (per Ruol), dall’altra l’esplorazione poetica – nel senso di artistica e psicologica – di quello che è contenuto oltre lo strato fittizio delle parole (Barthes) e degli oggetti (Ruol). Ecco, infatti, il capitolo 26 “borraccia Gio’ Style Safari 1000”:
Dimenticata tra le mensole della libreria c’è una borraccia di plastica color senape, con la tracolla grigia e il coperchio bianco, che una volta svitato diventa un bicchiere. Fino a quando erano andati in vacanza tutti insieme, la borraccia li aveva seguiti. I viaggi erano prevedibili nella tempistica e nella direzione: primi giorni di gennaio, montagna, e settimane centrali di agosto, Puglia, nonno paterno. Viaggiavano sempre di notte, tranne un’estate in cui Padre si era fatto convincere dalle proteste congiunte di Madre e figli contro la levataccia.
Oltre la borraccia Gio’ Style Safari c’è la storia di un viaggio prima di quell’incendio nella foresta cui allude il titolo. Oltre la “sedia ergonomica con rotelle” del capitolo 45 c’è una riflessione sul modo in cui Padre prova a sviare il dolore attraverso il lavoro. Al di là dell’innaffiatoio – capitolo 52 – il corbezzolo di Madre, fondamentale per il senso filosofico del libro, che infatti tornerà nel capitolo 99. L’ultimo, corbezzoli.
Quella di Ruol è sia una lista pratica, perché è un inventario strettamente legato alla vera esistenza degli oggetti che popolano la casa dei protagonisti, sia una lista poetica perché risponde alla mancanza di riferimenti fattuali con cui poter immaginare la rivoluzione esistenziale del lutto.
Questo senso di incompleto, di mancata totalità del racconto, è ciò che Eco riassume con l’indicibilità. In un certo senso sapere di non riuscire a dir tutto della storia è un modo per rilanciare l’immaginazione del lettore e lasciare a lui la possibilità di contribuire al racconto – magari attingendo agli oggetti della propria vita, guardando alla propria esperienza del dolore.
Di fronte a qualcosa di immensamente grande, o sconosciuto, di cui non si sa ancora abbastanza o di cui non si saprà mai, l’autore ci dice di non essere capace di dire, e pertanto propone un elenco molto spesso come specimen, esempio, accenno, lasciando al lettore immaginare il resto.
Una lista è una specie di combinazione, un tavolo di tarocchi che – se disposti in maniera diversa – offrono la possibilità di una varietà innumerevole di storie diverse fra loro.