Il mio destino non era di contemplare
la perfezione ma di possederla carnalmente
Autopsia dell’ossessione (2014)
E
rcole contro i samurai
Prima della sua discesa nella digitalizzazione nichilista del mondo, quando non sapeva ancora di apprestarsi a tale discesa, Walter Siti percorse le strade della metafisica e della mistica. Nel suo primo romanzo Scuola di nudo (1994) si mise in scena come io narrante che cerca nel desiderio erotico l’accesso alla trascendenza, e racconta la sacralità del nudo maschile con una lingua che ricorda quella dei profeti: “Nel mondo tutto si ammala e muore ma io sono venuto a testimoniarti che c’è un luogo in cui la materia genera ciò che la supera”. Il protagonista Walter venera i nudi dei culturisti come incarnazioni dell’Essere sottratto alla corruzione e alla morte, li ammira con un’attenzione rapita che è una forma di preghiera. I rapporti geometrici tra le masse muscolari, i giochi di luce e ombra, le curve sovrumane, l’equilibrio di energia e materia sono per lui i messaggeri di una perfezione “irreale”, che “appartiene a un altro ordine”. Il culturista è un angelo, la zona più profonda del desiderio aspira a un’esperienza mistica di abolizione dell’io.
Il desiderio nel suo livello più profondo ha sempre ha che fare con grandezze infinite; la struttura dell’essere si divide e si complica progressivamente, ma c’è una zona del nostro cervello che reagisce a questa complicazione immaginando un mondo dove non c’è né prima né poi, né tempo né spazio, né effetto né causa, né io né non-io.
I nudi non bisognerebbe nemmeno sapere chi sono né dove abitano, solo così ci si avvicina al massimo dell’intimità. Solo ciò che è sconosciuto può diventare (per un istante) ciò che è noto da sempre. Impensabile è avere con loro “una storia”.
“Ciò che è noto da sempre”: il primo orizzonte di senso del romanzo, ciò che spinge il protagonista alla ricerca e alla contemplazione – prima che al godimento sessuale – degli anonimi “nudi”, è la dottrina platonica della reminiscenza. Se non sapessimo già cosa siano il vero essere delle singole cose e lo stesso Essere, se non li avessimo conosciuti puri e immortali e poi dimenticati cadendo nel corpo, non saremmo in grado di conoscere gli enti del mondo in quanto enti: essenti. Non li riconosceremmo né nomineremmo, non saremmo l’animale parlante. In
Scuola di nudo l’io narrante arriva alla parola, scrive un romanzo, diventa poeta perché rintraccia l’eco dell’armonia divina nel nudo di volta in volta ammirato. “Tra ventre e pettorali c’è una vaschetta dove le antilopi vanno a bere. Il corpo, lucido sotto il getto dell’acqua, è prevalentemente composto di masse sferiche tra cui sole e ombra passano come nubi. Quando si gira, il tracciato dei glutei è astratto, assoluto, appena impastato di armoniche lievi”.
In Scuola di nudo l’io narrante arriva alla parola, scrive un romanzo, diventa poeta perché rintraccia l’eco dell’armonia divina nel nudo di volta in volta ammirato.
Il nesso ontologico tra bellezza mortale, bellezza divina ed Essere viene illustrato da
Platone nel
Simposio. Ai suoi commensali
Socrate dice che Amore – demone incaricato di mediare tra il dio e il mortale – ci spinge a cercare quella bellezza che è “una e la stessa” anche se nei corpi si manifesta variabilmente; passando di corpo in corpo, di amato in amato, l’amante giunge a capire che è la Bellezza ciò a cui mira. Al grado supremo dell’iniziazione amorosa essa gli si rivelerà all’improvviso: “bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s’accresce né diminuisce, che non è bella per un verso e brutta per l’altro, né ora sì e ora no”. Non è un caso – e ci torneremo più avanti – che nell’esporre la religione del suo desiderio il protagonista si richiami allo gnosticismo, alla discesa della luce nella materia e alla divinità che introdusse nell’uomo una scintilla: “i nudi maschili sono simili a quella luce”; ciò che Walter cerca nei culturisti è “questo squarcio, questo irrompere improvviso di un’altra dimensione”. È la speranza dello squarcio, è il desiderio di colmare la distanza a guidarlo nei luoghi dell’agonismo culturista, le gare in cui bellezza e gloria entrano in risonanza con il divino.
Come scrisse Jean-Pierre Vernant nel suo Mito e pensiero presso i Greci (1965, trad. it. 1978), “in quella forma di scenario rituale che è il concorso, il trionfo dell’atleta […] evoca e prolunga l’exploit compiuto dagli eroi e dagli dèi: eleva l’uomo al piano del divino. E le qualità fisiche – giovinezza, forza, rapidità, destrezza, agilità, bellezza – di cui l’atleta fa prova nel corso dell’agone, e che agli occhi del pubblico si incarnano nel suo corpo nudo, sono valori eminentemente religiosi”. A patto, sembra dire Walter, di non confondere modernamente la trascendenza greca ed ellenistica con l’aldilà cristiano. Come a evitare che il suo esigente orizzonte metafisico possa essere frainteso quale aprioristico, ipocrita e banalizzato amore parrocchiale, Walter elabora fantasie sadiche e si abbandona a rabbiosi, bestemmianti turpiloqui contro la divinità cristiana:
Cani abbaiano sadici, pùm, vedergli schizzare il cervello e che stramazzano al suolo finalmente silenziosi […] potrei preparare delle polpette con dentro aghi ma agonizzando farebbero ancora più rumore; se li attirassi in macchina, ma sono troppi e poi i cani ritornano. Vedi Lassie. […] Guidando incazzato verso la stazione bercio a una bionda “schifosa puttana, non vedi che c’è verde, maledetta cretina ti vuoi muovere?” […] Dio maiale, Madonna buca inculata da Gesù Cristo in croce.»
mentecatta cretina, che ti si schiantino le ovaie, crepassi te e la tua stupidità, porca maiala sudicia analfabeta miserabile
Walter è un asceta dalle tendenze misogine che nell’esaltazione del sesso trova la via d’uscita dal mondo; se l’omosessualità è per lui garanzia di distacco (“I nudi mi proteggono contro le donne, perché le donne ‘tirano dentro’”), le sue ermetiche descrizioni di paesaggio – seconda guida verso la trascendenza – cercano di tenere aperta la porta dicendo l’indicibile, stanando il vero Essere dal suo nascondimento: “Fruscii latenti nella tensione intramolecolare alla periferia dell’azzurro, un impercettibile scampanellìo sottopelle piove dal profondo zenit, pecore siderali vaporizzate dal calore; ogni amore terrestre risulta meschino al confronto e allora tanto vale accettare un’offerta che deludente lo sia fin dal principio”. Mettendo la terra (nel caso appena citato un corpo ordinario e non cultuale in un’ordinaria dark room) al confronto di quanto terrestre e deludente non è, il linguaggio figurato diventa risorsa della fuga, aria, sopravvivenza dalla volgarità di “due sceme” casualmente incontrate:
Spalanco la finestra: i fulmini di calore oltre le colline sembrano le zampe staccate dal corpo di un ragno cosmico; nel buio rosso friabile le spighe tengono i chicchi come le madri portano al seno i figli per allattarli
Perché Walter non è soltanto il chierico della religione dei Nudi: è un uomo frustrato e deluso, fuggiasco da un mondo che in pari misura teme e disprezza. È stato lasciato nove mesi prima dall’amato Bruno Portinai, cui pensa tuttora con pesante dispendio di psicologia amorosa; è un promettente ricercatore dell’Università di Pisa ed è legato ai colleghi e al preside da un sentimento ambiguo. Da un lato li ammira, hanno tutto ciò che a lui manca: sono maschi eterosessuali privi di complessi, amati, intraprendenti, intelligenti e a proprio agio nel mondo (“un maschio non chiede permesso”). Dall’altro li odia sordamente perché – castrato dalla madre e incerto della propria virilità – non è capace di scontro aperto.
Passando di corpo in corpo, di amato in amato, l’amante giunge a capire che è la Bellezza ciò a cui mira. Al grado supremo dell’iniziazione amorosa essa gli si rivelerà all’improvviso.
Talentuoso figlio di contadini, Walter è afflitto da un paralizzante senso di inferiorità in seno all’élite accademica; aspira come gli altri alla cattedra ma mostra di disprezzarla, è amico della segretaria anziché degli altri ricercatori, rivolge l’odio contro sé stesso e si infligge punizioni corporee. Dei colleghi riporta la chiacchiera brillante e ipocrita, cinica e appagata; si indigna alla bassezza dei loro intrighi e li presenta come animali: “le scimmie”, “il Cane” (ma al tempo stesso “qualunque indipendenza lontano da loro non è che esilio”). Lui è autentico, loro ipocriti, lui è generoso e poetico, loro indifferenti e calcolatori:
la loro digestione non è mai rovinata dalla frase di uno scrittore, solo semmai dall’accusa di non aver interpretato bene quella frase: se vuoi un argomento che non ti ferisca, diventane un esperto.
Walter però è troppo intelligente per inscenarsi come eroe senza macchia. Pagina dopo pagina si racconta soprattutto come nevrotico, il nevrotico si confessa mostro: in una progressione di autodenigrazioni grottesche e caricaturali leggiamo che ruba in dipartimento, spia i colleghi nell’intimità, gioisce dei loro lutti, uccide i gatti, cucina i topi, accosta il proprio sesso al viso dei neonati e in passato ha indirettamente, malignamente ucciso una donna. Walter è ignobile. Si paragona a un servo, a un insetto, a un maggiordomo, a un verme. Da un lato piange la propria indegnità, dall’altro la rivendica perché in un mondo a sua volta indegno essa diventa paradossale segno di elezione come quella di
Leopardi, interpretato da Walter quale controfigura della propria tormentosa esistenza: infecondo perché castrato dalla madre ma orgoglioso della propria impotenza, subalterno a un padre possidente ma spiritualmente superiore alla meschinità dei padroni, alieno poetante che “si aggrappa alla propria inferiorità come a un bene”. È la strategia di Walter: esibire la propria inferiorità e su quella dichiararsi superiore. Da un lato si disprezza per essere rimasto bambino in una società di adulti; dall’altro, arrivato al fondo dell’autodisprezzo, può analizzare con lucidità (e come nessun altro in dipartimento) la realtà politica del proprio tempo, il dominio globale dell’Occidente capitalista:
stabilire un potere così schiacciante che qualunque oppositore appaia uno squilibrato, poi travestire l’uso della forza da legittima difesa e giustificare l’escalation repressiva con le superiori esigenze della sicurezza. Le vittime diventano il vero pericolo per la pace […]. Chiunque voglia ridiscutere i postulati iniziali dimostra di essere insopportabilmente immaturo e nessun dialogo è possibile con lui fin che non ha imparato a comportarsi da adulto
A mettere in moto l’azione del romanzo, a promuovere in Walter la volontà di riscatto è la caduta della patria metafisica dei Nudi: mutuando da
Nietzsche la prospettiva critica che riduce la metafisica platonica ad annuncio della dottrina cristiana, Walter riconosce presto che la sua religione è strategia consolatoria, dettata dalla propria rancorosa inferiorità nella lotta per il potere: “Non posso più nascondermelo: i miei nudi, così monumentali e indeformabili, sono composti interamente di odio e di paura. Io non desidero i nudi maschili per ciò che sono in se stessi ma per ciò da cui mi distraggono […]. Il rischio mortale al quale mi sono sottratto è il grugno a grugno coi miei nemici; non ho mai messo in discussione la loro palese superiorità”. Interpretando ora la propria debolezza come sintomo di un
ego fallito, incapace di porsi quale soggetto modernamente sovrano (borghese) che a proprio vantaggio mette a frutto il mondo in competizione con altri soggetti, Walter lancia ai colleghi una sfida intesa come percorso al tempo stesso artistico e terapeutico: “Sputtanarli. Voglio vederli annichiliti domandare pietà”, “e non è di perversione che parlo […], ma proprio di opere e di gloria. Capacità di lasciare dopo di sé una traccia che duri”. Alla luce di questa nuova consapevolezza, gli stessi culturisti appaiono ora a Walter – appagato consumatore di riviste e film pornografici – come fantasmi del capitalismo iperreale:
Se l’oggetto stesso della mia devozione è il sottoprodotto di una catena controllata dai miei nemici, che senso ha combattere? In vista di quale premio? Come sileni all’incontrario i culturisti nei loro scomparti nascondono i miei peggiori sì. Che fare? Una freccia si pianta sibilando nel legno della diligenza, il girotondo degli indiani è interrotto dai tanks dell’esercito federale, si sgranano raffiche di mitra, cadono le bombe dai Mig 62, cavalieri medievali caricano armati di stocco i pigmei con la cerbottana appollaiati tra le sbarre fluorescenti dell’astronave aliena, un raggio laser colpisce i samurai…
È a quest’altezza, quando la trascendenza dischiusa dai Nudi viene percepita da Walter non solo come consolatoria e strategica, ma addirittura come tecnologicamente prodotta, che la merce capitalista in forma di immagine comincia a frequentare le pagine del romanzo. In sordina, perché l’invasione dell’iperrealtà mediatica – questione per Siti così essenziale che solo con essa diventerà al tempo stesso adulto e scrittore – si farà sguardo esplicito e mirato soltanto in seguito, a partire da
La magnifica merce (2004) e
Troppi paradisi (2006). In
Scuola di nudo essa si annuncia come propensione formale alla frammentazione, elaborazione stilistica che eredita le tecniche delle avanguardie novecentesche e le converte a finalità nuove. Contaminazione di registri alti e bassi, invasione del parlato, accumulo incongruo di pezzi di realtà che rifiutando la linearità narrativa (ingannevole e ideologica) ricrea la densità di eventi e “l’apertura” dell’esistenza; flusso di coscienza, elenchi di battute estratte a caso dai discorsi della giornata, mescolanza dei generi (prosimetro, cronaca in presa diretta come “encefalogramma” dell’io narrante, psicologia amorosa, detective story con appalti, tangenti e lettere misteriose).
L’invasione dell’iperrealtà mediatica – questione per Siti così essenziale che solo con essa diventerà al tempo stesso adulto e scrittore – si farà sguardo esplicito e mirato a partire da La magnifica merce (2004) e Troppi paradisi (2006).
È vero, la storia continua a svolgersi in parte come una trama classica: nonostante i propositi Walter non si ribella, ha troppa paura dello scontro diretto; cerca allora di incastrare i colleghi per una vicenda di corruzione amministrativa e comincia a fare indagini (innesto di una detective-story su un tessuto narrativo ad essa estraneo), si lascia tentare dal sogno di una vita normale e va a vivere in campagna con un contadino che lo ama. Ma nonostante questa sua lotta ancora novecentesca e pasoliniana, da intellettuale eroico nella propria diversità e nell’opposizione frontale al sistema corrotto, l’io narrante sta già diventando quel Walter Siti “come tutti” che anni dopo si presenterà ai lettori nell’incipit di
Troppi paradisi: “la tivù è la mia sola famiglia, i Jefferson, i Brady, Casa Keaton: i miei problemi sono i loro, le mie tensioni si sciolgono in baruffe di protettiva comicità”. L’avvento sommesso dell’iperrealtà mediatica comincia a sommuovere la scrittura, infiltra
ex abrupto la cronaca dell’atletica leggera come un corpo estraneo tra le battute di un dialogo tra accademici, alterna il reale e la copia televisiva senza più gerarchie né segnalazioni di eterogeneità. Accosta documentari scientifici e descrizioni di paesaggio, pornografia e introspezione, guerra e mondiali di sci:
Faccio un gioco: alterno le cassette Colt ai programmi normali azionando il telecomando ogni minuto o due… preferibili i documentari sulla natura, ma vanno bene anche i reportages dal Brasile, un film turco sulle carceri e le situation-comedies americane. Meglio di tutti il telegiornale: una piscina a Beirut o un corteo contro Mitterand – la base dove vengono costruiti i veicoli spaziali, in Florida, confina con una laguna del Wwf: lamantini, fenicotteri dal ciuffo, “ecco come un falco pescatore vedrebbe lo Shuttle in posizione di lancio”.
La stessa vicenda di corruzione amministrativa, la trama apparentemente portante del racconto, si sgretola per infiltrazione di elementi estranei, l’incertezza della sintassi rivela accessorio e dispensabile quanto sembrava essenziale:
Ora il caso si è riaperto perché la società concessionaria che ha condotto in modo tanto dubbio la gara d’appalto (la finale del lungo è arrivata all’ultimo turno di salti: il culo di Larry Myricks) tanto dubbio la gara è una società del gruppo Iri-Italstat legata, pare, alla Benefir.
Non è un caso che le indagini sui colleghi corrotti si perdano per strada e non portino a nulla, né che il romanzo finisca in modo apparentemente ambiguo (dopo qualche teatrale baruffa con i suoi nemici Walter mostra di riconciliarsi e torna alla doppiezza di sempre): la vera conclusione è altrove. È quando Walter, a tre quarti del romanzo, lascia il contadino Ruggero e la terra, sceglie l’illusione iperreale e “invidiato da tutti” va in vacanza con Steve, prostituto e aspirante manager della propria immagine. Ruggero tenta il suicidio, poi si ammala e muore; deposte le ambizioni da intellettuale ribelle, finalmente sincero con se stesso, Walter può abbandonare le inconcludenti psicologie amorose e le sfide al sistema, dimentica lo stesso Steve e si concede con il frivolo Hochy una passeggera, banale e ingannevole felicità.
Scuola di nudo è un viaggio iniziatico capovolto, paradossale: dalla sacralità dei nudi astrali alla blasfemia tecnologica che profana il mistero del mondo, dalla difficile libertà dell’eroe solitario al compromesso conformista, dallo scontro frontale con il sistema all’accettazione del denaro e dell’eros mercificato.
A vincere non è il mostro disadattato e implacabile, ma il piccolo-borghese che sceglie di non cambiare, di accettarsi. In questo senso
Scuola di nudo è un viaggio iniziatico capovolto, paradossale: dalla sacralità dei nudi astrali alla blasfemia tecnologica che profana il mistero del mondo, dalla difficile libertà dell’eroe solitario al compromesso conformista, dallo scontro frontale con il sistema all’accettazione del denaro e dell’eros mercificato come gratificazione consumista e sostitutiva trascendenza profana
ma anche potenziamento di uno sguardo finalmente sincero perché insieme lucido e paziente, capace di raccontare un viaggio in Guatemala in pagine che sono tra le più belle del romanzo:
Che cosa meglio del denaro può soddisfare il desiderio d’assoluto? […] Se il corpo muscoloso è merce, il denaro è ciò in cui tutte le merci si dissolvono […] il denaro è la forma universale in cui tutte le passioni possono essere scambiate […] È finita la stagione in cui mi vergognavo di guardare il denaro dritto negli occhi
Assoluto non è più l’Essere ma il denaro. L’incarnazione non sfugge al suo destino di merce. Walter fa ammenda, il mostro si adatta. Ha vinto perdendo la patria metafisica: è diventato un soggetto occidentale moderno, un
homo oeconomicus. Sceglie il consumismo e il possesso per farsene travolgere e raccontarli da dentro. Ma ci vorrà ancora tempo, l’incubazione durerà dieci anni. Il secondo romanzo di Siti,
Un dolore normale (1999), si tiene ancora sul sentiero che verrà abbandonato: tanta psicologia amorosa, rancorosa meschinità del narratore, senso di inferiorità; un intreccio tradizionale ci rivela pagina dopo pagina che l’io narrante autobiografico fa traffici di organi umani per conto della camorra. “Ho cantato come la gallina che ha fatto l’uovo”, riconosce nelle pagine iniziali lo stesso io narrante: produco romanzi in serie e ne sono stupidamente contento.
Solo a partire da Troppi paradisi (2006), con un parziale anticipo nei racconti della Magnifica merce (2004), Siti racconterà miratamente quanto in Scuola di nudo, non più che presentito, dà al romanzo un carattere allucinatorio, come vedere la realtà a un passo dal dissolversi. In un mondo senza internet e smart-phone, di cui Walter racconta le beghe degli amministratori socialisti, le morti da HIV, le tecniche di agricoltura nella campagna toscana e i compagni d’infanzia diventati brigatisti, vediamo apparire fuggevolmente e insistentemente, in modo vago ma già corrosivo, l’incipiente epoca dell’iperrealtà digitale, la guerra permanente della democrazia totalitaria, il regime postdemocratico delle registrazioni e del controllo.
Immagini notturne dal Kuwait: un neon semiesaurito lampeggia sulla saracinesca di un negozio, un soldato offre una sigaretta a un civile e la brace brucia in diretta, un’auto che ha un faro spento solleva un pezzo di lamiera con la ruota anteriore sinistra. Là, adesso. La tecnologia mi consente di partecipare a qualcosa di emozionante mentre sta accadendo, meglio che un peep-show
attenzione, vi avvertiamo che la presente comunicazione verrà registrata
Ho paura che fra poco dovremo combattere per le libertà più elementari
Il paradiso e il suo doppio
Walter Siti è un grande scrittore dell’epoca dell’iperrealtà digitale nichilista, della confusione tra la realtà e la copia, perché il suo tratto più impressionante è l’ambiguità. È doppio in tutto: il suo protagonista scherza volentieri con i colleghi e sordamente li odia, disprezza e degrada gli uomini che cerca di amare (“puzzo di loffe sotto il lenzuolo, odor di carogna”); fugge il mondo indegno, cerca il vero Essere e si lascia sedurre dal capitale tecnologico. Dalla teologia dell’angelo incarnato scende sulle sue storie una luce di redenzione, quasi la consapevolezza di un’originaria, reciproca inerenza tra il divino e l’umano. Dal disprezzo degli uomini amati e dall’amore-odio verso il capitalismo della guerra globale si leva un’aria di morte, una disperazione che è però capace di pazienza perché si fa consolare dalle lusinghe iperreali della pornografia, della pubblicità e delle sit-com. È questo senso di schizofrenia consapevole a rendere i suoi libri al tempo stesso liberatori e opprimenti. Se già nel 1994, a ridosso di Scuola di nudo, Siti parlò del proprio lavoro come di un’ipotesi sperimentale – “confessione impudica e incontrollabile (memorie di un malato di nervi)” –, l’esperimento fu anzitutto sentimentale: l’esigenza di una personalità scissa e paradossale, la necessità di evadere da sé per essere non un altro ma gli altri, la massa: “Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono standard, la mia diversità è di massa. Più intelligente della media ma di un’intelligenza che serve per evadere” (Troppi paradisi).
Walter Siti è un grande scrittore dell’epoca dell’iperrealtà digitale nichilista, della confusione tra la realtà e la copia, perché il suo tratto più impressionante è l’ambiguità. È doppio in tutto.
Il protagonista ci racconta ora la sua gioia davanti ai programmi televisivi che lo intrattengono, consolano e rallegrano, la sua eccitazione davanti ai film pornografici. È diventato titolare di una cattedra di letteratura all’università dell’Aquila e ha una relazione di coppia con un giovane e ambizioso autore televisivo della Rai che cerca di farsi strada; per i genitori poveri, che vivono a Modena, prova solo compassione e disprezzo. La sua è una vita normale, priva di sussulti; come se al sorgere dell’interesse esplicito per l’iperrealtà mediatica, per il sogno della merce e del denaro, fosse venuta meno l’esigenza di emulare l’eroismo mostruoso e ingombrante di
Pasolini, apparso brevemente – e menzionato con fastidio come “il Poeta” – fin da
Scuola di nudo.
Veniamo ora a sapere che in passato Walter conobbe personalmente Pasolini in un rapporto tanto umiliante da suscitare in lui complessi di inferiorità letteraria e sessuale; che l’attrice Laura Betti, amica del Poeta e custode della sua memoria, nominata nel romanzo come “la Catastrofe”, non perde occasione di ribadire a Walter la sua inferiorità (“Tu lo odii, Pier Paolo, perché era un frocio che ha goduto molto, e se permetti ha avuto un successo che durerà eterno […] da vero uomo, anzi da vero maschio…”). Verso questo Pasolini insieme amato e detestato l’io narrante compie ora la stessa mossa attribuita al Poeta nel racconto “Il colpo di pollice” (La magnifica merce): “S’era ricordato in tempo di una vecchia regola: quando si rischia di perdere, hop, cambiare il gioco”.
Ogni giorno sul filo della spada; donne in casa che lo trattavano come un principe. E io a servirlo per anni, donna anch’io, anzi invidioso maggiordomo. Se tesso l’elogio del tirare la carretta è per oppormi a lui. È lui il mio Antagonista: per una confusa intuizione che potrei essere migliore di lui, se riuscissi ad afferrare i connotati tutt’altro che ignobili della decadenza occidentale (forse anche italiana in particolare) raccontandola da dentro, da microbo tra i microbi (Troppi paradisi)
Basta con le lunghe e dolenti introspezioni amorose, con la confessione delle proprie mostruose indegnità, con le indagini sugli accademici corrotti; l’intreccio viene dichiarato “modesto” e presentato esplicitamente come artificio narrativo, al modo di
Brecht che lasciava accese le luci per evitare che il pubblico, rapito dalla rappresentazione, dimenticasse il teatro come macchina sociale rappresentante. Dalle trasmissioni televisive, dalle conversazioni degli addetti Rai, dalla loro vicinanza vera o millantata alla classe politica, dal responso del pubblico arruolato nelle trasmissioni sorge l’ubiquo e bisbigliante
noi della società di massa nell’epoca del capitalismo mediatico globale, il brusìo dei microbi esposti alla radiazione dell’immagine come merce sessualizzata e disponibile desiderio sostitutivo. Il capitalismo come religione atea e promessa del paradiso in terra, la pulsione di morte annidata sotto l’edonismo consumista occidentale, il totalitarismo della democrazia globale vengono da un lato inscenati nel mondo delle produzioni televisive, dall’altro teorizzati in digressioni saggistiche che riprendono le tesi di
Baudrillard sul nichilismo dell’iperrealtà mediatica:
questa abnorme opera d’arte planetaria, mimetica come nessuna ha potuto essere prima, restituisce ai suoi consumatori il sapore di una realtà più vera del vero, da cui mani esperte hanno abolito le sorprese incoerenti, stonate. Così succede nei mondi romanzeschi. Solo che qui il demiurgo non è il singolo romanziere, ma è l’anonimo meccanismo produttivo
un unico mondo, che non è più né questo né quell’altro. Quel che il consumismo sta ottenendo è una realtà sempre più finta e una finzione sempre più reale, in un trionfo del trompe-l’oeil; la nostra vita è una “mezza cosa” di cui non siamo più padroni, perché è comandata dai padroni dell’immagine. Ed è quello che in fondo vogliamo, perché inconsciamente ci è chiaro che questa nostra realtà (qui, nel castello assediato d’Occidente) è una disperata finzione
niente è veramente reale perché niente è veramente fittizio
Walter non si ribella più, ha ucciso il padre Pasolini. La percezione della macchina del dominio capitalista mondiale non esclude in lui il piacere di vivere tra i dominatori, o quanto meno come loro domestico piccolo-borghese (meglio maggiordomo loro che di Pasolini, sembra dire Walter): ha un discreto e garantito stipendio, un piccolo riconoscimento sociale; segue appagato i programmi televisivi e frequenta le feste degli addetti Rai come uno “spettatore da casa” arrivato fortuitamente tra loro. Li descrive come persone narcisiste, avide e ciniche, patologicamente scisse tra il sé e l’immagine mediatica del sé. Gli autori dei programmi, intellettuali che vengono dall’università, si disprezzano inconsciamente per ciò che fanno (“rassegnati a trasformare la frustrazione in superiorità”): sono i creatori della reality-TV come menzogna sistemica e impero mediatico del denaro, gli stipendiati del “paradiso concentrazionario” come carezza edonista, afasia collettiva, propaganda politica e pubblicitaria (“la pubblicità è una droga, non per metafora, e gli spacciatori sono i media”, scriverà Siti anni dopo).
Dalle trasmissioni televisive, dalle conversazioni degli addetti Rai, dalla loro vicinanza vera o millantata alla classe politica, dal responso del pubblico arruolato nelle trasmissioni sorge l’ubiquo e bisbigliante noi della società di massa nell’epoca del capitalismo mediatico globale.
Però la “disperata finzione” occidentale viene raccontata da Walter anche con amore, perché ha smesso di disprezzare sé stesso e si è accettato come microbo tra i microbi. Vede la menzogna, il nichilismo, lo sfacelo, ma “un polline di felicità mi avvolge invece alla presenza ubiqua dei vip”. È questa pacificata contemplazione della rovina, sempre oscillante tra la seduzione e l’orrore, a rendere
Troppi paradisi un romanzo straordinario. “Io sono l’Occidente”, dichiara Walter: rallegrandosi delle serie televisive e del proprio potere d’acquisto, del benessere e delle vacanze all’estero, non sa condannare i responsabili della catastrofe alla quale assiste. Vuole bene al suo ambizioso compagno e lo aiuta a fare carriera.
Presto però la felicità del microbo si rivela insufficiente: l’amore con Sergio diventa banale e ipocrita vita di coppia, la frequentazione dei gretti e feroci televisionari umiliante dovere sociale; i colleghi universitari sono meschinamente chini su mansioni e lotte intestine da intellettuali stipendiati. La redenzione, di nuovo, arriva dall’Angelo. Ora che la mediocrità è la sua forza, ora che la critica alla metafisica come consolazione dei vinti non ha più senso (Walter non ha più bisogno di consolazione), può tornare il messaggero dell’Assoluto. Dalla normalità della coppia benestante e bene introdotta il protagonista ritorna al desiderio socialmente proibito per i Corpi celesti e mercenari dei culturisti; dall’ambiente accademico di cui è rispettato membro si mescola al “sottoproletariato delle palestre”, alla plebe ipnotizzata dal sogno televisivo, agli escort di lusso che creano e gestiscono la propria immagine come una merce lucrativa, sperano di entrare nel mondo dello spettacolo e vivono nel frattempo di imbrogli e piccoli furti. Walter paga le prestazioni, gode dei corpi e cerca le anime; forzando i limiti del suo stipendio da universitario vive capitalisticamente il denaro come emozione e vertigine:
Un’anima ce l’hanno tutti, anche le persone più spregevoli, perfino Mario Lucchi o gli interni Rai; negli escort è più difficile snidarla, tanto sono abituati a separare gli orgasmi dai sentimenti. I più maturi e manageriali semplicemente l’hanno depositata altrove, non la vogliono mischiare col mestiere. Nei più infantili e nevrotici s’è rattrappita in fondo al guscio, bisogna estrarla con uno stecchino come si fa con le lumache. Il segno che ci sei riuscito è quando arrivano con un leggero anticipo e ti baciano sulla bocca
Questi ragazzi sono alienati dal proprio corpo, che spesso vedono come un involucro estraneo (dicono “lui” quando ne parlano): esigente, che può mandarti in rovina se si ammala, o può portarti al successo se gira bene
La sola vera emozione… no, sono ingiusto, le emozioni sono state due: la sua resa incondizionata (testimoniata dalla posa allo specchio) e la cifra assurda mentre la scrivevo sull’assegno
Gli amici di Walter sono imbarazzati, gli omosessuali dell’élite televisiva si sentono socialmente offesi dalla sua perversa frequentazione dei culturisti a noleggio. Restano tutti interdetti quando Walter si innamora di Marcello, un tempo premiato body-builder ma ormai soltanto prostituto e cocainomane, vicino ai quaranta, sull’orlo della dissociazione mentale. Lo descrive come un uomo dolce e spaesato, amorevole e puro, ignaro di tutto; fermatosi – o regredito a causa dell’abuso di droga – allo stadio emotivo e cognitivo di un dodicenne (“una
grazia, da qualunque parte provenga; qualcosa di raro e prezioso di cui certo non è consapevole”).
Le borgate e il sesso a pagamento, il dialetto e l’ossessione fallica (“il cazzo”): Walter torna sulle tracce di Pasolini, senza complessi di inferiorità stavolta perché il suo sguardo si è liberato. Marcello è un angelo caduto; esposto alla radiazione dell’iperreale, sogna anche lui provini e carriere attoriali ma è incapace di farsi manager di sé stesso. Gli mancano determinazione e cinismo. Perde tempo, è inguaribilmente passivo, cerca la droga, ride per mascherare l’imbarazzo quando racconta le umiliazioni cui lo sottopongono i clienti. Un masochismo prepotente e inconsapevole lo porta a dire sempre di sì. “Da ogni rapporto, per quanto turpe e umiliante, cerca di trarre solidarietà, amicizia, compassione (‘ognuno è fatto com’è fatto’)”. Marcello non vuole, non progetta, non oppone resistenza; si abbandona alla corrente e alla fortuna. Quasi non ha ego: è l’anti-Occidente angelico:
ma davvero credete di essere meglio di lui, che campa dando via il culo e si fa pagare per questo? credete di essere meglio perché i vostri soldi derivano dai pensieri, e la sera andate a cena con Ezio Mauro? o perché siete di sinistra? lui ha una purezza che voi non potete neanche immaginare di immaginare…
Marcello è nella sua purezza ciò che Walter – nonostante la chiamata del divino, nonostante le dichiarazioni di uguaglianza (“siamo uguali come due gocce d’acqua”) – non sa essere fino in fondo: il suo ego occidentale, virale, infestante e infantile come quello della massa (“Datemeli insieme, tutti innamorati di me, e vi firmo qualunque massacro anche su milioni di inermi”) non può smettere di volere e progettare, comprare e godere. Sacrificando a Marcello il proprio denaro come a una divinità – inizialmente per le prestazioni sessuali, poi per soddisfarne i bisogni da escort di lusso e cocainomane – Walter cerca di redimersi dalla colpa di essere l’Occidente, ma la redenzione è ambigua: il rito ribadisce la colpa, è possesso di un corpo mercificato in oggetto di lusso, plasmato e tecnologizzato dagli anabolizzanti industriali. La religione capitalista, scrisse
Benjamin, è la prima religione della storia che anziché redimere colpevolizza: i debiti che essa chiede ai suoi adepti di contrarre e rinnovare senza posa nel ciclo del consumo creano una condizione di costante manchevolezza, l’essere-in-debito con un Ente imperscrutabile, onnipotente ed esigente quanto il Dio cristiano.
Sacrificando a Marcello il proprio denaro come a una divinità, Walter cerca di redimersi dalla colpa di essere l’Occidente, ma la redenzione è ambigua: il rito ribadisce la colpa, è possesso di un corpo mercificato in oggetto di lusso, plasmato e tecnologizzato dagli anabolizzanti industriali.
È vero, per la prima volta Walter si è innamorato di un culturista rinunciando all’anonimità così importante in
Scuola di nudo, quando preferiva ignorare nome e indirizzo dei Corpi celesti: “ho ricucito due lembi lontani, due modalità che un tempo mi parevano avversarie: eros e agape, compassione ed estasi”. Il neoplatonismo stilnovista che
Scuola di nudo aveva tematizzato clandestinamente e di sfuggita – la persona amata come epifania e guida, Bruno
Portinai (B. P.) di Firenze – diventa ora esplicito: “la mia è una forma distorta di amor cortese […] è vero che l’aria trema intorno a lui”. Amore ed epifania sono però profanati in partenza dal desiderio di emulazione e ascesa sociale del piccolo-borghese Walter che decide di dissipare in prostituti di lusso il proprio stipendio da accademico per “provare come vive un ricco”, sentirsi “proprio un padrone”. L’antico complesso di inferiorità non è davvero scomparso, ha solo cambiato direzione. Walter è diventato
homo felicemente
oeconomicus per scoprire che soltanto nella subalternità ai veri dominatori è consentito esserlo: tanto che l’amore per Marcello diventa competizione di potenza sessuale con un milionario chiamato “il Principe” (“donne in casa che lo trattavano come un principe”, aveva già detto nella sfida artistico-sessuale lanciata al Poeta e Antagonista).
La punizione di Walter per avere profanato il divino è infatti l’impotenza. A differenza del Principe non riesce a penetrare Marcello che invece lo desidererebbe: “sono colui che non riesce a possedere ciò che ama”. Se Walter non fosse l’Occidente potrebbe mirare alla causa anziché al sintomo, all’essere anziché alla tecnica; sceglie invece la soluzione oggettiva, tecnologica, invasiva. Emulando esplicitamente Silvio Berlusconi (archetipo della menzogna mediatica e del potere d’acquisto), si sottopone a un intervento chirurgico che gli impianta un sistema idraulico nei corpi cavernosi del pene. Ora può avere erezioni a comando: la prestazione è ristabilita senza intervento in profondità, il corpo-protesi recupera l’efficienza operativa senza che l’anima – come faceva al tempo di Scuola di nudo – debba affrontare i propri grumi. Walter è troppo lucido per ignorare i fantasmi: li lascia però volentieri nelle retrovie.
In contraddizione con tutto quello che ho detto prima, sulla criminalità del possesso eccetera: ma che pretendete da me, al tempo delle idee e dei sentimenti dimezzati?
Lo so, il vero happy end non sarebbe il possesso ma la liberazione
Esattamente come accade con lo statuto ontologico delle immagini mediatiche iperreali, che non sono vere senza per questo essere false, quello di
Troppi paradisi è un lieto fine ambiguo e indecidibile. Grazie alla scorciatoia tecnologica Walter si riscatta (“sono nato”), è diventato adulto, possiede tra i possidenti in senso sia economico che sessuale. Di nuovo, come nel finale di
Scuola di nudo, è stato iniziato con successo al capitalismo. Può dire della vecchia madre “non ce l’ha fatta a castrarmi”, al padre morto “non sono meno maschio di te” (ma sappiamo che sta parlando anche a Pasolini, “vero maschio” a detta della Catastrofe). Di nuovo, come in
Scuola di nudo, il complesso di inferiorità è finito, anche rispetto a Pasolini stavolta; con una nuova “operazione” insieme letteraria e chirurgica (l’autofiction del microbo tra i microbi e l’erezione a comando che gli permette di godere quanto – a detta di Laura Betti – godette Pasolini) l’io narrante ha messo fine alla subalternità e progetta di dismettere l’omonimia tra autore e protagonista: “se avrò qualcosa da raccontare, non sarà su di me”.
Esattamente come accade con lo statuto ontologico delle immagini mediatiche iperreali, che non sono vere senza per questo essere false, quello di Troppi paradisi è un lieto fine ambiguo e indecidibile.
Il lieto fine però non è autentico: Walter vuole possedere, non ha ottenuto quella liberazione dall’ego che ogni metafisica d’Occidente e d’Oriente ha indicato quale la strada verso la trascendenza, verso l’Angelo. Sottoposto al trattamento dell’autofiction, l’amore di Walter per Marcello diventa iperreale: non è falso e non è vero. È una vera finzione. Walter spia il suo amato, annota le sue battute, descrive la sua devastazione mentale; rende pubbliche le umiliazioni sessuali dell’Angelo caduto. Lo compra e lo ama per sé ma anche per il pubblico, lo ostenta per suscitare invidia, approfondisce in Marcello la perdita dell’intimità anziché medicarla. La vittoria è così ambigua che nei romanzi successivi, nonostante la dichiarazione di intenti, Walter/Siti non riuscirà a dismettere l’autofiction e dovrà tentare di nuovo la strada dell’“operazione”.
La seconda parte sarà pubblicata martedì 23 dicembre 2025