“N on siate imbarazzate e non abbiate paura” dice Frankie “comparso minacciosamente davanti” a Diane e Susan, diciassettenni appena scappate dal college per inseguire il sogno scapestrato dei “pirati del Village” a New York. “Faccia da furetto, capelli lisci neri e pantaloni a sigaretta, studiandoci con occhi astuti, lucidi per l’eroina. ‘Non siate imbarazzate e non abbiate paura’, aveva detto lentamente, come se quelle parole avessero qualche profondo significato cosmico, come se fossero una specie di oracolo”. E loro dunque seguono Frankie il pappone senza discutere, entrando allo Swing Rendezvous “un bar per gay gestito dalla mafia in MacDougal Street”. E proprio in quel locale che diventa il loro rifugio, Diane incontra Ivan con cui in una notte di febbraio del 1951 perde la verginità; avvenimento che, raccontato nelle prime pagine del libro, con ovvia valenza simbolica inaugura l’inizio della sua vita da beatnik (anche perché, essendosi data da fare fin dalla giovane età con ragazzi e ragazze, sperimentando tutto tranne la penetrazione completa, la frattura dell’imene diventa il rito che rappresenta il passaggio fenicio a un nuovo stato di esistenza: una deflorazione poetica più che sessuale). “Dopo c’era del sangue sul suo cazzo, e quando riuscii di nuovo a muovermi lo leccai via, ingoiando la mia infanzia, entrando nel mondo dei vivi”.
Diane di Prima (1934-2020) è stata una fra le più importanti scrittrici e poetesse beat; il suo memoir – non troppo fedele – di gioventù Memorie di una beatnik, uscito negli States nel 1969, e già pubblicato in Italia da Guanda nel 1994, poi riedito da TEA nel 1996 con il sottotitolo Un diario erotico spregiudicato e gioioso (che pare quasi un trigger warning per contenuti sessualmente espliciti), rimane poi fuori edizione fino al maggio di quest’anno, quando Quodlibet decide di portarlo nuovamente in libreria con la traduzione originale di Ilide Carmignani e la postfazione Scrivere memorie, postillata dall’autrice stessa tra il 1987 e il 1988, in occasione della riedizione americana.
È un libro che pur nel suo erotismo e nella sua scabrezza rimane sempre leggiadro, come lo è lo sguardo di chi aspira “una boccata di sigaretta con la consumata durezza di una diciassettenne”, e si fa trapassare da ogni evento come un velo attraverso cui gli altri fanno l’odio e l’amore, perché “bisognava essere cool. Non dimentichiamo”. Ci sono gli incesti nella famiglia dell’amica Tomi, che “credono di essere Fitzgerald, ma in realtà sono un mediocre Henry James”; c’è la carriera di Diane come modella di foto erotiche; quella come segretaria del losco pr Ray Clarke, invischiato con la malavita (“Imparai a supporre che ci fosse sempre un microfono nascosto dovunque”) da cui, assieme alla fedele amica Susan, si allontanano perché, saggiando l’inizio di una guerra fra gang, “decidemmo che l’atmosfera non era più cool”; le settimane in cui squattrinata dormiva tranquillamente al parco, le topaie con i buchi nei pavimenti, il cesso esterno sempre lercio perché usato spesso dai senza tetto, il gelo e le orge per scaldarsi, chi bussa alla porta con i polsi squarciati (“Per essere il mio primo suicidio credo di averla presa molto bene”) e chi con la febbre a quaranta e un principio di morte addosso (“Ho letto Baudelaire e ho vomitato”); la gaia promiscuità con prima un padre e poi un figlio, con giovinetti efebici e jazzisti catramosi, ballerini e criminali (“Da allora ho scoperto che è di solito un bene essere la donna di molti uomini, o essere una delle molte donne sulla scena di un uomo, o essere una delle molte donne in una casa con molti uomini, con una situazione complessiva mutevole e ambigua. […] Vivi con cinque, e hai le stesse pretese, ma sono allargate, ambigue, indefinite. Ciò che non è soddisfatto da uno, verrà facilmente soddisfatto dall’altro, nessuno si sentirà frustrato dai sensi di colpa e di inadeguatezza, e nessuno verrà messo con le spalle al muro da richieste che non può esaudire.”); e ancora Vaffanculo la pillola: una digressione (sui metodi anticoncezionali); e quando lesse per la prima volta Howl di Ginsberg abbandonando lo stufato in cottura e poi, nel 1958, pubblicò il suo primo libro di poesie This kind of bird flies backward con l’introduzione di Ferlinghetti, e finalmente l’incontro di persona con quei beat, folli come lei, in visita a New York, con i comizi impastati di hashish sulla vita high e le gioie di una scopata durante le mestruazioni (“Alla fine, tra le ovazioni generali, estrassi il talismano insanguinato e lo gettai dall’altro capo della stanza”).
Diane di Prima è soprattutto una poeta; ha sempre preferito il termine neutro rispetto alla declinazione femminile poetessa, sebbene con il senno d’oggi alcune tra noi vorrebbero forse invece enfatizzare “-essa”, poiché la sua scrittura è carica di energia femminile.
& nessuno ‘ possiede ‘ la terra
si può averla
in uso, nessuno deve averne di più
di quella che può lavorare, lavorarla lui stesso e la famiglia
non lasciamo che nessuno lavori per qualcuno
eccetto per amore, e quello che fai in più del
necessario darlo alla tribù
un Common-Wealth, un bene comune
Nessuno di noi ha risposte, pensa
a queste cose.
Verrà il giorno che dovremo avere
risposte.
Poco prima che lasciasse New York, infatti, Maurice Girodias, (“un editore visionario e spregiudicato, […] che si distinse per aver mandato in stampa Lolita di Vladimir Nabokov, Naked Lunch di William S. Burroughs, e persino diverse opere di Guido Crepax, come la celebre Histoire d’O, adattamento grafico di un classico della letteratura erotica. Non erano romanzi per tutti: erano opere che sfidavano la morale, la sintassi, la narrazione lineare. Pornografia? Forse. Dipende da chi guarda. Ma anche alta letteratura mascherata da editoria da contrabbando” racconta Claudio Castellacci su Doppiozero) per il quale di Prima aveva già scritto “delle scene di sesso per un paio di romanzi insipidi e innocui che aveva acquistato come canovacci, e a cui bisognava aggiungere un interesse lascivo come si fa con l’origano nel pomodoro”, le aveva commissionato un suo memoir erotico di gioventù; insomma, un potboiler, un libro scritto unicamente per sbarcare il lunario. Per sostentare gli smandrappati in botta che le irrompono ciclicamente nello studio insieme a Black Panther, spacciatori, musicisti rock mentre lei, imperturbabile dea madre, Tara Verde tibetana si incarna nell’atto compassionevole di aggiungere “PIÙ SESSO” a quei primi scalzonati anni beatnik della sua vita, e sia fatta dell’editore la santissima volontà. Una delle svariate prove che anche un libro su commissione può diventare letteratura, se la penna è di per sé consacrata alla letteratura – pensiamo a Dostoevskij che dettava furiosamente alla sua segretaria-amante Il giocatore per pagarsi (ironia della sorte?) i debiti di gioco, tentando di ritagliarsi quanto più tempo possibile per quello che considerava uno dei suoi futuri capolavori Delitto e castigo.
E da quelle Lettere rivoluzionarie dedicate a Bob Dylan e a suo nonno anarchico Domenico Mallozzi (una poeta di origine italiana, tra l’altro, non ci si aspetterebbe che venga tradotta in Italia con più fulgore?), dicevamo, prodotte proprio durante la rivoluzione sessantottina, si traccia una delle linee del pensiero antiestablishment che ci portiamo avanti ancora ora. Frammento della Lettera #43:
il primo obiettivo è la salute
corpi forti creano spiriti forti, la brigata Venceremos
al ritorno da Cuba scopre di sapere respirare
si alza con il sole; prima di tutto:
far fuori il vizio dello zucchero, eliminare la carne
& le droghe pesanti, non mangiare chimici, niente cibo confezionato
primo passo:
riconoscere cosa significa la salute: chiglia uniforme
energia instancabile che sgorga stabile fino in fondo
adesso lasciatemi dire
che cosa è un Brahmastra
Brahmastra, un’arma da guerra induista
da quello che ho capito
un cuneo volante fatto di energia mentale
scagliato contro il nemico da dio o eroe
o da tanti eroi
scagliato a un problema o un nemico
spezzandolo
Brahmastra può essere fatto
da uno o da tutti
può essere fatto da tutti noi
sobrio e sotto un trip, pensando insieme
cioè: fermiamo la guerra
alle nove di domani, ognuna prende un soldato
lo guarda con chiarezza, lo ama, prende la pistola
dalle sue mani, lo porta in un posto tranquillo
lo fa sedere, si siede con lui mentre prende una canna
di erba dei viet cong dalla sua tasca…
Il primo, nel 1967. Krassner racconta:
Ci fu, ad esempio, la finta orgia che ebbe luogo nel loro appartamento. Per attirare l’attenzione sull’esorcismo del Pentagono, Abbie aveva inventato una droga immaginaria, LACE ‒ presumibilmente una combinazione di LSD e DMSO ‒ che, applicata sulla pelle, sarebbe stata assorbita nel flusso sanguigno agendo come un afrodisiaco istantaneo. L’intenzione era spruzzarla sulla polizia militare e sulla Guardia Nazionale a Washington. In realtà, LACE era lo “Shapiro’s Disappearo”, un gadget taiwanese che lascia una macchia viola e poi scompare. Fu indetta una conferenza stampa per dimostrare l’effetto di LACE su tre coppie hippy. Furono stesi dei materassi sul pavimento del soggiorno affinché potessero fare sesso dopo essere stati spruzzati con LACE da pistole ad acqua, mentre i giornalisti prendevano appunti. Per qualche ragione, Abbie non era nemmeno presente, lasciando la timida Anita ad accogliere gli ospiti di questo bizzarro scherzo.In origine, io dovevo essere lì come giornalista che veniva spruzzato accidentalmente con LACE. Con mia sorpresa, avrei posato il taccuino, mi sarei spogliato e avrei iniziato a baciarmi con una bellissima rossa che era stata anch’essa spruzzata per sbaglio. Attendevo con impazienza questa combinazione tra evento mediatico e appuntamento al buio. Anche se la rivoluzione sessuale era al suo apice, c’era qualcosa di eccitante nel sapere in anticipo che avrei sicuramente fatto sesso, anche se mi sentivo in colpa per cercare di ingannare i colleghi giornalisti. Ma c’era un conflitto di agenda. Ero già impegnato a tenere un intervento a una conferenza letteraria all’Università dell’Iowa proprio quel giorno. Così Abbie mi incaricò di comprare della farina di mais in Iowa, che sarebbe stata usata per circondare il Pentagono come rito preparatorio alla levitazione.
(Il riferimento alla levitazione del Pentagono riguarda la marcia che Abbie Hoffman organizzò insieme ad altre figure cardine della controcultura come Timothy Leary e Allen Ginsberg quando, per manifestare contro la guerra in Vietnam, il 21 ottobre 1967 oltre 50.000 yippies si diressero, appunto, verso il Pentagono con l’obiettivo di farlo levitare con l’energia psichica di Hoffman mentre Ginsberg intonava canti tibetani).
E il secondo, durante il San Valentino del 1969:
Loro, insieme a molti altri Yippie, avevano passato il giorno precedente a rollare circa 30.000 spinelli, avvolgendo ciascuno in un volantino che augurava al destinatario un felice San Valentino e conteneva informazioni sulla marijuana. Nell’anno precedente erano stati effettuati oltre 200.000 arresti per consumo di cannabis, e il sindaco John Lindsay aveva appena chiesto al governatore Nelson Rockefeller di aumentare la pena per possesso da uno a quattro anni. Gli spinelli di San Valentino furono inviati anonimamente a varie mailing list ‒ insegnanti, giornalisti ‒ e a un tizio registrato sull’elenco telefonico come Peter Pot. Il progetto fu finanziato da Jimi Hendrix. Un conduttore televisivo che mostrò uno di quegli spinelli fu raggiunto in diretta da due agenti della narcotici mentre stava ancora leggendo il telegiornale: un primato nella storia della TV.
Per il fatto di darne agli altri? Un monaco buddista una volta ha detto: “Non c’è farfalla che batta le ali a Kyoto senza che lo percepisca l’intero mondo”. In altre parole, siamo tutti collegati. Quando è scoppiata la guerra del Golfo, mi sentivo stimolata ad avere più piacere… era così che potevo aiutare di più, non andando a Washington, dato che è un lungo viaggio e non sapevo esattamente cosa fare una volta arrivata lì. Così sono stata a casa, ho fatto del sesso e ho goduto il più possibile: questa è stata la mia dichiarazione di intenti politica.
Nelle Lettere rivoluzionarie di Diane di Prima dedicate a Bob Dylan e a suo nonno anarchico Domenico Mallozzi prodotte proprio durante la rivoluzione sessantottina, si traccia una delle linee del pensiero antiestablishment che ci portiamo avanti ancora ora.
Pensiamo alla dottrina buddista della reincarnazione. I seguaci dello Svegliato non credono nell’esistenza dell’anima, tuttavia pensano che una persona possa raggiungere il nirvana dopo aver attraversato diverse vite. Ciò che appare a prima vista contraddittorio, la reincarnazione senza anima, senza identità, è possibile perché le azioni degli esseri viventi lasciano una traccia, una sorta di potenzialità che alla morte del corpo terreno dell’individuo produce la nascita di un nuovo essere.Allo stesso modo, affinché la tensione che Blisset ha sprigionato in questi anni possa animare nuove (e vecchie) realtà e nuove esperienze, occorre che il suo cadavere rilasci spore più che mai infette e taumaturgiche. Tuttavia il Multiplo ha un’infinità di corpi, molti dei quali resteranno in vita nonostante la morte di alcuni altri.
Grazie al seppuku L.B. darà vita a molteplici rinascite, svincolate dall’uso di un nome. Perché per quanto si faccia, alla lunga un nome conduce a un’identità. Singola o multipla, reale o virtuale, storica o mitica, fa senz’altro differenza ma, dopo un po’, si tratta di qualcosa a cui rinunciare.
Alcune tra le spore esalate dal cadavere di L.B. sono il celeberrimo collettivo Wu Ming (che ha pubblicato in copyleft per Einaudi libri come Q, Manituana, Proletkult eccetera) e Daniele Vazquez con lo pseudonimo Associazione psicogeografica romana, che ha fatto anche parte della redazione della rivista di ufologia radicale MIR (Men In Red) e ha pubblicato, tra gli altri, Feste fuori controllo, Corpi ostili e tecniche di repressione psicopolitica (2018), su cui torneremo brevemente più avanti.
Tra le gesta più famose di Luther Blisset, tra i suoi Brahmastra, (tutto raccontato nel libro Luther Blisset – Totò, Peppino e la guerra psichica (1996), scaricabile gratuitamente da Internet Archives) grandi troll mediatici come la messa in giro della sparizione del fittizio Henry Kipper, un illusionista smarrito durante un viaggio in bicicletta per l’Europa, durante il quale stava tentando di tracciare con la traiettoria del suo percorso la scritta ART, caso che finì su Chi l’ha visto; e l’annuncio durante la Biennale d’arte di Venezia del 1996 della mostra di quadri della scimmia Loota, in cui poi invece si trovarono esposti solo dei volantini con su scritto “la scimmia sei tu”. Per non parlare della “Guerra psichica nella metropoli traiettoriale”, come quando organizzarono
Una Festa Nomade a Roma su un autobus notturno, alla quale hanno partecipato un centinaio di persone collegate radiofonicamente a Radio Blissett, finita in tafferugli con le forze dell’ordine, che avevano bloccato l’autobus. La festa (sul 30 notturno) è stata organizzata per “la ricodificazione ludica dello spazio urbano”, “contro il caro biglietti” e per “il teletrasporto pubblico e gratuito”; dalle 3.00 circa, quando l’autobus è partito, Luther Blissett “ha dichiarato che avrebbe pagato un solo biglietto. Ha chiesto in radio di pompare la musica e ha ballato, bevuto, fumato, pomiciato, tirato coriandoli, giocato a pallone per circa venti minuti, mentre l’autobus seguiva il suo percorso abituale raccogliendo gente alle fermate”.
Lo Stato, secondo la nota formula di Harry Kipper, programmatore di panico mediatico e artista punk, “suddivide non il popolo, bensì il territorio”. L’esercizio del comando è prima di tutto costruzione totalitaria di una rappresentazione geografica che possa essere valida per tutti, unificante, in modo da creare popoli e nazioni, ovvero la legittimità stessa del comando.
La tecnicizzazione psicopolitica della festa fuori controllo è arrivata al punto che ormai vi sono staff che ne hanno fatto un business diffuso, promettendo di organizzarne apposta per voi e i vostri amici. Pagate e avrete una festa fuori controllo, “fino a perdere la voce”. A rassicurare sulla natura fittizia di questa perdita di controllo c’è sempre ovviamente la mamma: “mamma non preoccuParty”. L’edipizzazione della festa fuori controllo ritaglia lo spazio della festa fuori controllo soltanto sotto un certo limite di età e per i figli della ricca borghesia, dopo di che occorre mettere la testa a posto e far felice la mamma sul proprio percorso di vita. Finché i figli della ricca borghesia faranno festa, una festa triste e logora, sulle spalle dei giovani proletari che si fanno il mazzo per permetterglielo, solo i più audaci che sfideranno il senso di civiltà potranno concedersi feste fuori controllo.
La festa, quindi, nel tentativo di regolamentare Thanatos, diventa una specie di spurgo che, al posto di trasportare lo stato di irrealtà, di caos anarchico, nella vita quotidiana, ne propone solo la temporanea espiazione, con lo scopo di tutelare le tradizioni e le gerarchie a cui si farà presto ritorno.
Il Novecento occidentale, l’ultimo ruggito selvaggio di una fiera colpita sul fianco da un dardo anestetico; le palpebre sbattono come il tonfo serrato di un cancello a ghigliottina. Dopo, il buio: un bioparco, la brezza, mani che accarezzano, e lo sfumato ricordo della sconfinatezza e del dolore.
Come scrive Paul Auster nel 1994 in Mr Vertigo – ode a quell’America di cowboy urbani nei Roaring Twenties:
Era tutto diverso, e quello che [..] facevamo allora, oggi non sarebbe più possibile. La gente non ci starebbe più. Chiamerebbero la polizia, scriverebbero alle autorità, consulterebbero il medico di famiglia. Non abbiamo più la scorza dura di un tempo, e forse il mondo di adesso è migliore proprio per questo, chi lo sa. […] Forse la sola cosa che veramente contò fu proprio la disperazione.