C
hi è Heriberto Yépez? Siamo davanti a un genio o a un grandissimo imbroglione della letteratura? Questa domanda mi è frullata in testa tutto il tempo mentre leggevo L’impero della neomemoria (2025). All’apparenza una biografia di Charles Olson, ma nella pratica qualcosa di completamente diverso. Una specie di saggio-mondo (se vogliamo ritorcere la deplorevole espressione “romanzo-mondo”, tanto in voga negli ultimi anni) nel quale la storia di Charles Olson è solo la colonna vertebrale, o l’albero maestro, il tronco ma di un albero tutto storto, con infinite ramificazioni: digressioni, capitoli di storia e geografia, critica letteraria, filosofia. E solo alla fine della lettura ho capito cos’è effettivamente questo libro. Non un “dispositivo”, come si usa tanto dire, ma un ordigno. Un ordigno esplosivo per far saltare tutto in aria. Un capolavoro letterario di poetica, in senso aristotelico, ma di antipoetica o di contropoetica.
La scrittura di Yépez è una scrittura tormentata (ci confesserà in quest’intervista). Tormentata come forse dovremmo essere tutti noi e come ci fanno sentire le parole di Heriberto Yépez, autore di oltre trenta libri in spagnolo e in inglese: saggi, romanzi, poesie, ibridi inclassificabili. Di tutto e di più. Uno scrittore di Tijuana che ha studiato i classici del pensiero e la letteratura nordamericana per poterli demolire, in un rapporto di odio e amore che restituisce lo splendore letterario dell’ambiguità, della contraddizione, del dubbio. Un miscuglio di Bolaño e geopolitica, Aristotele e Žižek, la cultura dei Maya e la poesia di Ezra Pound. Una letteratura sincretica, quella di Yépez, fatta di generi che si mischiano, frammenti, digressioni, tradizioni contaminate e riutilizzate, riciclate e rielaborate per smascherare le credenze di questi tempi incerti e tormentarci, tormentarci senza tregua.
L’impero della neomemoria, tradotto da Daniel Di Schüler per Timeo è il suo primo libro pubblicato in lingua italiana, al quale seguiranno: La colonización de la voz. La literatura moderna, Nueva España, el náhuatl (Axolotl Ediciones 2018) ed Exofilosofia. Scopriamo insieme l’universo letterario di Heriberto Yépez e la sua origine caotica e misteriosa.
Basta uno sguardo anche superficiale per rendersi conto che la tua letteratura è un organismo maturo e pluriforme, molto eterogeneo, e in parte legato anche alla tua attività accademica. L’editore Timeo ha scelto di presentarti in Italia con questo libro incredibile: L’impero della neomemoria. Non certo il primo e nemmeno l’ultimo. Come ti fa sentire questa scelta? Può il lettore italiano farsi un’idea, seppur parziale, del tuo linguaggio e della tua opera o questo libro è un unicum, una perla diversa dalle altre?
Ho sempre cercato di fare in modo che ogni mio libro avesse un suo spazio, che fosse diverso da tutti gli altri. Ma in realtà L’impero della neomemoria è molto legato a tre libri di poesia e poetica che ho scritto in inglese negli anni Duemila. Forse è anche per questo che è stato tradotto in inglese. E, una volta uscito in inglese, L’impero della neomemoria ha provocato una polemica molto interessante negli Stati Uniti, forse unica. Non ricordo un altro caso in cui un libro scritto originariamente in spagnolo abbia sollevato così tanto scandalo nella letteratura postmoderna nordamericana contemporanea. Lo vedo anche molto vicino ai miei libri sulla mescolanza di culture, sul tema del confine, un’idea che ho esplorato in romanzi, poesia e saggistica. Penso che il lettore italiano avrà una lettura molto diversa. Capirà che sto interpretando cos’è l’avanguardia letteraria nordamericana in relazione alla geopolitica, ma da una prospettiva diversa da quella che hanno avuto i lettori negli Stati Uniti e in Messico. Sono molto curioso di scoprire l’interpretazione della letteratura italiana.
Uno dei tuoi temi principali è quello politico, o meglio: anti-storico. Forse potremmo dire meglio che la tua postura in generale sia sempre “anti/contro”, nel senso di anti-colonialista, contro il postmoderno e il modello imperiale americano. L’impero della neomemoria è un’ode al decostruttivismo, alla negazione, fino ad arrivare a negare persino l’esistenza dell’universo. Inoltre, in questo libro e in altri tuoi testi, ti concentri sulla critica della letteratura statunitense (a partire da Charles Olson ma coinvolgendo tutti i grandi maestri della letteratura a stelle e strisce: da Melville a Whitman). Come nasce questa ossessione distruttiva e fin dove si estende?
È il mio amore-odio per gli Stati Uniti. E il mio amore-odio per il Messico. Questi due amori-odi definiscono chi sono come persona. È Catullo: “Odi et amo” portato nella geopolitica. Vengo da una famiglia messicana che poi quasi tutta è emigrata negli Stati Uniti. Solo mia madre rimase in Messico. Mia nonna è morta negli Stati Uniti. Vivo in una città di confine, Tijuana, che il resto del Paese considera una città traditrice verso la cultura nazionale, perché innamorata del nordamericano. Il mio rapporto di amore-odio con gli Stati Uniti mi ha dato un’identità. L’altro amore-odio della mia vita sono la letteratura e la filosofia. Dunque, scrivere di poesia nordamericana è uno dei due grandi amori-odi della mia vita. La mia scrittura è molto tormentata. Vengo da una famiglia di criminali, carcerati e lavoratrici notturne. Sono stato formato, a livello intellettuale, dal mio patrigno che era membro della mafia di confine. Anche questo mi ha definito.
Sono il teorico della famiglia; il primo (da secoli) ad arrivare all’università, per qualche accidente del destino. Così quando scrivo teoria faccio una teoria-da-poeta, poet’s theory, per così dire. L’impero della neomemoria è il libro di un anarchico, in cui cerco di mostrare che la poetica postmoderna, sperimentale, nordamericana (incarnata da Charles Olson) ha un forte legame con l’imperialismo. Mostrare questo legame ha causato scandalo tra i poeti sperimentali statunitensi. Si credevano l’Alternativa, la Controcultura; e io ho mostrato che erano il lato oscuro del nucleo dell’Egemonia. Non se lo aspettavano. Credevano di essere l’opposizione all’imperialismo. Non gli è piaciuto che, dall’altra parte del confine, uno scrittore dimostrasse che anche loro ne erano parte. Mi piace divertirmi.
Nella quarta di copertina di L’impero della neomemoria si anticipano alcune delle prossime pubblicazioni, tra cui La colonización de la voz. La literatura moderna, Nueva España, el náhuatl (Axolotl Ediciones 2018). Un titolo che mi sembra molto in linea con il discorso che stiamo facendo. Pur dando la sensazione di contenere un discorso più accademico e forse “ordinato” de L’impero della neomemoria. Cosa possiamo aspettarci? E quali altri testi hai scritto che si legano a questo discorso più letterario in senso stretto?
Dopo
L’impero della neomemoria e i miei libri di poesia in inglese ho deciso di studiare a fondo la lingua degli Aztechi: il nahuatl. Ho imparato a leggerlo e tradurlo. Mi ci sono voluti due anni. Mi sono reso conto che l’invasione spagnola del 1521, la cosiddetta “scoperta dell’America”, dell’italiano
Cristoforo Colombo, è stata un altro laboratorio di mescolanza culturale, un altro laboratorio di confine, simile a quello che abbiamo oggi, un altro momento in cui imperialismo e forma sperimentale avvenivano insieme. Un’altra ibridazione, una prima modernità, come hanno ben detto
Tzvetan Todorov e Serge Gruzinski. Da questa fase sono nati alcuni testi in cui ho esplorato come la poesia indigena nata da quell’incontro tra Europa e America abbia creato forme che uniscono tradizione e innovazione, distruzione di ogni tradizione e invenzione di nuove forme poetiche. Mi sono talmente immerso nella ricerca che ho persino trovato un poeta indigeno gay protoavanguardista, messicano, dell’Ottocento, e ho pubblicato le sue poesie, insieme a uno studio biografico e critico. Si trattava del poeta che diventò maestro di nahuatl dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Studiare il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo mi ha permesso di capire davvero il Ventesimo e il Ventunesimo. Sono secoli in cui la mondializzazione ha prodotto forme incredibili. Ma devo confessarti qualcosa, che mi pare tu abbia intuito: scoprire quel poeta indigeno-gay-messicano dell’Ottocento è stato talmente delirante che ho cercato di raccontare la sua storia con un po’ di lucidità. È stato come mediare tra un poeta dionisiaco e una prosa apollinea. In ogni caso, l’allucinazione è totale.
Sei nato e cresciuto a Tijuana, la città che è diventata famosa in tutto il mondo per el bordo. Grazie a un muro. Una città di frontiera, un avamposto, un luogo di confine. Che ruolo ha questa città, e più in generale la messicanità, nella tua letteratura? Pensi che avresti potuto scrivere i tuoi libri se fossi vissuto altrove?
Scrivo praticamente tutti i generi, in due lingue, su molti argomenti, ma vivere a Tijuana, il confine con più attraversamenti giornalieri al mondo, la capitale del narcotraffico, mi ha sicuramente segnato come scrittore. Sento di essere in grado di dialogare con molte altre letterature e contesti, offrendo ciò che questo confine permette di vedere sul mondo, allo stesso modo in cui uno scrittore di New York, Roma, Buenos Aires, Barcellona, Dublino, Pechino, ha una prospettiva unica, che gli permette di dire qualcosa che solo da lì si può dire sulla nostra esperienza globale. Tijuana è una città radicale. Molto crimine, molti attraversamenti, molta povertà, molta ricchezza. È la città più mafiosa e postnazionale d’America. Ringrazio Dio per avermi fatto nascere qui. Ma appena lo penso, credo che dovrei ringraziare anche il Diavolo. Ma a Satana si deve dire grazie o vomitargli addosso?
L’altro libro di prossima pubblicazione per Timeo che la bandella di L’impero della neomemoria vuole svelare al lettore s’intitola Exofilosofía (“Esofilosofia”), un concetto al quale accenni anche nella postfazione all’edizione italiana di L’impero della neomemoria (che consigliamo di leggere prima di affrontare il libro, al lettore ancora poco convinto). Essendo un concetto fondamentale per comprendere la tua opera, proverei a fare un po’ di chiarezza e, se ti va, a sintetizzare una piccola mappa neologistica delle idee collegate all’esofilosofia.
Sono anni che penso a ciò che ho chiamato “esofilosofia”. È uno dei libri che sto finendo di scrivere. Mi mette ansia che Timeo lo abbia già annunciato come prossimo libro. In realtà ho troppe pagine e devo ancora condensarle per un primo libro di “esofilosofia”. In qualche modo è la nuova fase della mia opera. Per esofilosofia intendo un problema, più che una definizione univoca. Ad esempio, la poetica fu in Aristotele un ramo della filosofia. Ma quel ramo presto migrò: si separò dalla filosofia. Secoli dopo, divenne una parte della letteratura, quasi un genere a metà tra letterario e accademico oggi. La poetica è diventata esofilosofica: è uscita dalla filosofia.
Ma per esofilosofia intendo anche questo: cosa succede se reincorporiamo la poetica (e altri rami morti) nella filosofia? L’esofilosofia è un problema, una domanda e un esperimento. Siccome sono anche psicoterapeuta, mi pongo la stessa domanda rispetto alla psicologia, per esempio. Ad Alain Badiou interessavano gli antifilosofi (come Wittgenstein o Lacan); a François Laruelle la non-filosofia. Ma sono convinto che dobbiamo ancora riflettere su cosa significa esofilosofia. La filosofia che è uscita dalla filosofia. Una parte dell’esofilosofia non tornerà più. Un’altra parte minaccia di tornare nella filosofia. Sono convinto che questo secolo sarà il secolo dell’esofilosofia.
Per un lettore ispanofono che si volesse approcciare alla tua opera, avendola perciò tutta disponibile in lingua, sapresti suggerire un percorso di libri da seguire? Sapresti dire da quale cominciare e come proseguire, oppure in quali “filoni” dividerli (quelli di critica letteraria, i romanzi, le poesie)?
Ho quasi trenta libri già pubblicati. Sono un autore prolifico, piuttosto inclassificabile. Dal punto di vista del mercato, questo mi ha penalizzato. Né critici né agenti letterari sanno come classificarmi o definirmi. È un grosso problema, oggi. Ma mi piace stare fuori da quei circuiti. E sono convinto che il mio agente letterario sia Dio. Anche se probabilmente Dio non esiste.
Per un lettore interessato a conoscere la mia opera penso che L’impero della neomemoria sia un buon inizio. Da lì consiglierei di proseguire con i miei libri di poesia in inglese e i romanzi in spagnolo. Ora, se chiedi a uno scrittore quali libri suggerisce per conoscerlo ti diremo sempre che sono i libri più nuovi. Vorrei che i miei prossimi libri di esofilosofia e il mio nuovo romanzo fossero i prossimi a essere pubblicati in altre lingue. Ovviamente vorrei che i lettori mi conoscessero da questo momento attuale e poi scoprissero tutto quello che ho fatto nelle due decadi precedenti. Vorrei che mi invitassero a leggere poesia esofilosofica. Vorrei che leggessero i miei prossimi romanzi. Vorrei che mi invitassero a tenere conferenze. Vorrei che ascoltassero ciò che la Tijuana più radicale può raccontare a qualsiasi altra città. Se chiedi a uno scrittore cosa vuole che leggano, ti risponderà sempre che vuole che leggano ciò che sta scrivendo in questo momento.
Quali sono le autrici e gli autori che senti più affini alla tua letteratura e/o al tuo progetto critico e politico, oppure ancora alla poetica che propone l’esofilosofia?
Mi interessano il realismo speculativo e Roberto Bolaño. Ho seguito delle lezioni di Judith Butler ma mi interessano molto anche i libri recenti di Catherine Malabou. Mi interessano la Kabbalah (riletta oggi) e l’arte contemporanea. Penso che dobbiamo ancora leggere bene Borges e Kenneth Goldsmith. Ad oggi mi interessano anche la postcritica e una critica al decolonialismo. Credo che questo sia il momento migliore per scrivere letteratura e filosofia fuori da qualsiasi cornice nazionale. E penso che il contesto globale, il mercato mondiale delle idee, sia il maggiore rischio. È affascinante essere scrittore e filosofo oggi.
Una poesia di Heriberto Yépez
(tratta da Transnational Battle Field, 2017)
About me: in English
I am possessed by the most powerful
Revolutionary force in the world today:
The Anti-American spirit.
But I am written and I write in English
I too sing America’s shit.
I am inhabited by imperial feelings
Which arise in my mind as images
Of pre-industrial rivers
Or take some technocratic screen-form.
My hopes are these wounds
Are also weapons. But they may be undead
Scholarly jargon.
I am colonized. I dream of decolonizing
Myself and others. The images of the dream
Do not match up. I am the body
And the archive.
A bomb is ticking in my old soul.
And the life of the bomb
Trembles in the hands of my new voice.
I am a professor in the Third World.
What do I know? Libraries in the North
Do not open their doors. I laugh at myself
Imagining what the newer books state.
Writing is counter
-insurgent. But the counter
-insurgency
Leaders want our body
Believing writing is freedom.
This is as far as my English goes.