

L e monumentali rovine del sito maya di Calakmul sono completamente immerse nella giungla, che le ha nascoste e protette fino a pochi decenni fa. Salendo in cima all’Estructura II, il più alto edificio maya conosciuto, lo sguardo spazia sopra il mare verde delle chiome degli alberi. Calakmul è stata un tempo la capitale del regno di Kaan, il regno della testa di serpente. Città inespugnabile, dominava un territorio sconfinato che arrivava fino all’attuale Guatemala, dove era situata Tikal, la città-Stato che contendeva a Calakmul il predominio sull’area. Il destino, beffardo, ha voluto che proprio a Calakmul, la capitale del regno della testa di serpente, sorgesse una delle 34 stazioni del Tren Maya, il “grande serpente metallico” che attraverserà la penisola dello Yucatán. 1554 chilometri, 34 stazioni, 42 treni, collegamento con 7 aeroporti e 26 aree archeologiche, per un costo stimato che sfiora i 30 miliardi di dollari. Questi sono i numeri essenziali che raccontano il progetto nato dalla fantasia dell’ormai ex presidente, Andrés Manuel López Obrador, all’indomani della sua elezione, nel 2018.
Ripetutamente dipinto dal presidente come un grande progetto di speranza e sviluppo, una volta completato, il Tren Maya rappresenterà l’imperitura testimonianza del passaggio di López Obrador nella storia del Paese centroamericano. Ma non si tratta solo di aspirare all’immortalità. Un megaprogetto è soprattutto un formidabile generatore di consenso politico, a livello centrale e locale. Il paradigma che emerge dalla vicenda del Tren Maya è universale. Che si tratti di una linea ferroviaria o di un ponte, che avvenga in Messico o in Italia. Quando le grandi opere nate “in alto”, nelle stanze del potere centrale, vengono calate “in basso”, su territori spesso impreparati o inadeguati, in nome del progresso e dello sviluppo, i costi ambientali, sociali e culturali rischiano di diventare enormi.
Il Tren Maya inizia il suo viaggio con una promessa: trasportare i turisti attraverso la Regione Maya e, così facendo, offrire opportunità economiche e benessere ad alcune delle comunità più povere del Paese, che non hanno case in muratura né un sistema fognario, guadagnano meno del salario minimo e spesso non proseguono gli studi oltre le scuole elementari.
Il Tren Maya è molto di più di una linea ferroviaria: è un vero progetto di riordinamento territoriale e di trasformazione strutturale della regione, che porta con sé resort, lotti residenziali, centri commerciali e impianti di produzione energetica.
Un progetto di trasformazione strutturale
In realtà il Tren Maya è molto di più di una linea ferroviaria: è un vero progetto di riordinamento territoriale e di trasformazione strutturale della regione. La ferrovia porta con sé resort, lotti residenziali, centri commerciali, impianti di produzione energetica. In corrispondenza delle 20 stazioni principali è prevista la costruzione dei cosiddetti “poli di sviluppo”, destinati a ospitare ognuno 50.000 persone, con allevamenti di maiali e polli per soddisfare le necessità dei turisti. Ma c’è di più. Il progetto del Tren Maya prevede il collegamento diretto con un altro megaprogetto fortemente voluto da López Obrador e in gran parte già realizzato: il Corredor interoceánico, una ferrovia che mette in collegamento il Pacifico e l’Atlantico nel punto più stretto del Messico, offrendo un’alternativa terrestre più economica e più veloce al Canale di Panama. Nell’intenzione del presidente anche questo progetto, con i suoi parchi industriali, raffinerie e porti, contribuirà allo sviluppo della regione e darà una spinta a tutta l’economia messicana.
Il tracciato del Tren Maya si snoda attraverso tutti e cinque gli Stati che costituiscono la penisola dello Yucatán: Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatán e Quintana Roo. Il percorso del treno, più volte modificato, a partire da quello originario lungo 900 chilometri, ha il suo cuore nell’anello ferroviario che, toccando i maggiori siti archeologici, le città coloniali e le località balneari della costa caraibica, parte e torna a Cancún, la capitale turistica della penisola.
Cancún è una città artificiale, letteralmente costruita a tavolino dal governo messicano per favorire la nascita di un polo turistico alternativo ad Acapulco. Quando il 23 gennaio 1970 fu avviato il progetto di sviluppo, l’area contava solo tre residenti, i custodi della locale piantagione di cocco. Oggi, dopo 50 anni, Cancún ha quasi 900.000 abitanti e ogni anno viene visitata da oltre 20 milioni di turisti. Un vero eldorado, soprattutto per i tour operator stranieri, le catene alberghiere internazionali e i gestori messicani di discoteche e parchi dei divertimenti. Ad attirare i turisti nello Yucatán non sono solo la sabbia bianca e l’acqua turchese delle spiagge caraibiche, ma anche gli spettacolari siti archeologici della civiltà Maya e l’immenso patrimonio di biodiversità delle sue sconfinate foreste e della seconda più grande barriera corallina al mondo.
Gran parte degli abitanti della penisola dello Yucatán sono di origine indigena, per lo più discendenti dai Maya. Le popolazioni indigene, con la loro cultura e il loro modo di rapportarsi all’ambiente, sostengono e preservano la biodiversità dello Yucatán ma spesso non traggono benefici dallo sviluppo turistico. Al massimo, hanno accesso ai lavori più umili, come quelli da personale delle pulizie negli hotel. È così che si comprende perché, nonostante lo sfruttamento turistico, lo Yucatán rimane un’area depressa nel quadro nazionale. In quattro dei cinque Stati che lo compongono, le famiglie, in particolare quelle indigene, hanno un reddito medio di gran lunga inferiore a quello nazionale, oltre 7 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà e più di 2 milioni in condizioni di indigenza.
Un gruppo di accademici ha firmato un appello per chiedere al governo di fermare i piani di costruzione: il treno è considerato una minaccia ambientale “su scala planetaria” con effetti potenzialmente devastanti.
Un’opera ad alto impatto ambientale
Appena dopo la presentazione del progetto, sono cominciate le critiche. Nel 2018 l’organizzazione ambientalista tedesca Salviamo la foresta ha lanciato una petizione per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli impatti ambientali che avrebbe avuto il Tren Maya, ottenendo una buona risonanza sia in Messico sia a livello internazionale con quasi 300.000 firme raccolte. Nel 2020 attraverso la voce del subcomandante Moises si sono duramente espressi anche gli zapatisti, definendo il Tren Maya “l’ennesima grande opera con la quale il Governo voleva distruggere il territorio”. Da quel momento le voci contrarie si sono moltiplicate. Tra queste quelle degli archeologi, preoccupati che la ricchezza, in gran parte ancora inesplorata, di resti di antiche civiltà presente lungo il tracciato venga irrimediabilmente distrutta o resa inaccessibile.
Ma la maggior parte delle critiche si è concentrata sugli impatti ambientali dell’opera. A luglio del 2020, un gruppo di 85 accademici, molti dei quali messicani, ha firmato un appello per chiedere al governo di fermare i piani di costruzione, individuando nel treno una minaccia ambientale “su scala planetaria” e avvertendo degli effetti potenzialmente devastanti sulla falda acquifera, già sottoposta a una forte pressione a causa dell’urbanizzazione. Va considerato che geologicamente lo Yucatán è un’immensa distesa calcarea, praticamente priva di acqua in superficie, ma caratterizzata dal più grande sistema di fiumi sotterranei al mondo. Una vasta rete interconnessa che forma la Grande falda acquifera Maya, fonte di acqua potabile per circa cinque milioni di messicani. Gli speleologi locali hanno ripetutamente denunciato gli effetti del passaggio della linea ferroviaria sopra il sistema di gallerie carsiche e i danni ai cenotes, formazioni geologiche uniche al mondo, costituite da piscine di acqua cristallina scoperte dal crollo della volta rocciosa sovrastante, considerate dai Maya luoghi sacri di accesso al mondo degli inferi.
A dare un’idea concreta di quello che sta avvenendo sono gli speleologi di Cenotes urbanos, un gruppo locale impegnato nel mappare il maggior numero di queste formazioni calcaree, nel tentativo di impedirne la distruzione: “Le grotte non sono solo dei tubi, vuoti, brutti e bui. Sono ecosistemi pieni di vita che lavorano in squadra con gli ecosistemi della giungla. La rotta ferroviaria attraversa almeno un centinaio di cenotes. Qui il terreno calcareo si sbriciola, perciò i binari non poggiano direttamente a terra ma vengono sopraelevati a 17 metri d’altezza, su centinaia di pali del diametro di oltre un metro conficcati a 25 metri di profondità; è come costruire su gusci d’uovo. Gli scavi distruggono alghe e batteri essenziali per la sopravvivenza dell’ecosistema e inquinano l’acqua. A volte, per procedere più in fretta, le ruspe tappano i cenotes con la terra. È un danno incalcolabile, irreversibile”.
Secondo il Tribunale internazionale per i diritti della natura, il Tren Maya rappresenta una violazione dei diritti della Natura e dei diritti bioculturali del popolo maya, il che costituirebbe un crimine di ecocidio ed etnocidio.
Più della deforestazione è la frammentazione degli habitat naturali il vero rischio per la seconda più grande foresta pluviale dell’America Latina. Specie animali che si muovono su grandi estensioni di territorio, in particolare grandi carnivori come il giaguaro, o specie a rischio di estinzione, come il tapiro di Baird, potrebbero subire forti limitazioni alle possibilità di movimento per effetto di barriere artificiali come la ferrovia. Per mitigare questi impatti, il governo ha previsto la costruzione di attraversamenti per la fauna selvatica, ma purtroppo la maggior parte di essi è costituita da sottopassi, anziché da cavalcavia aperti, più costosi ma molto più funzionali.
I costi e le minacce sociali
Anche il Tribunale internazionale per i diritti della natura si è occupato del Tren Maya. Il tribunale, formato da cittadini e istituito nel 2014 per rappresentare i “diritti soggettivi della natura”, ha deciso di occuparsi del caso dopo che l’Assemblea del territorio Maya dello Yucatán ha richiesto il suo intervento il 5 giugno 2022. A marzo del 2023, i cinque giudici del tribunale hanno raccolto le testimonianze di 23 diverse comunità indigene. La sentenza emessa non lascia posto a fraintendimenti: “Il Tren Maya – si legge nel testo ‒ rappresenta in modo inconfutabile una violazione dei diritti della Natura e dei diritti bioculturali del Popolo Maya, il che costituisce un crimine di ecocidio ed etnocidio”.
Al Tren Maya non sono mancate anche le critiche di chi lamenta che i costi sociali per la realizzazione del progetto saranno principalmente a carico delle comunità locali, mentre i benefici economici andranno per lo più ai grandi operatori internazionali del settore turistico. L’ONG messicana Prodesc, inoltre, ha denunciato ripetuti episodi di esproprio illegale degli ejidos, le terre comunitarie istituite dopo la Rivoluzione messicana, nonostante le affermazioni iniziali del governo che il progetto avrebbe interessato solo territori di proprietà federale. “Il cosiddetto Tren Maya non è un treno e non è maya, perché non è pensato per la popolazione ma per gli interessi del governo e delle imprese che sfruttano le risorse locali” ripetono gli esponenti del Congresso nazionale indigeno, organismo che riunisce le comunità indigene del Messico.
Tra espropri, gentrificazione e impatti ecologici, i costi sociali per la realizzazione del progetto saranno principalmente a carico delle comunità locali, mentre i benefici economici andranno per lo più ai grandi operatori internazionali del settore turistico.
Anche il processo di consultazione delle popolazioni locali è stato ritenuto, da più parti, insufficiente e poco trasparente. Il presidente López Obrador e i suoi emissari sono stati apertamente accusati di manipolare le comunità indigene facendo leva sulla loro condizione di povertà e utilizzando metodi scorretti per ottenere il loro assenso al progetto. Alle accuse di mancato coinvolgimento delle popolazioni indigene nella decisione il presidente ha risposto con l’esito del referendum indetto per approvare il Tren Maya, stravinto con il 90% dei consensi. Un referendum, però, votato da meno dell’1% degli aventi diritto e dichiarato non conforme agli standard internazionali dagli osservatori dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani. López Obrador ha sistematicamente ignorato o denigrato, attraverso i media governativi, tutte le critiche al progetto, riuscendo nell’intento di depotenziarle. Gli ambientalisti sono stati ripetutamente tacciati di essere “radical chic, corrotti e pagati dagli Stati Uniti”, e il mondo accademico scientifico di essere formato da “intellettuali borghesi che non conoscono la realtà”.
Molti albergatori, tassisti, guide turistiche sembrano consapevoli del prezzo che il territorio pagherà con l’arrivo del Tren Maya, ma tra loro prevale l’opinione che si tratti di un sacrificio necessario sull’altare dello sviluppo economico.
Il viejito
Ma cosa pensano i messicani del Tren Maya? Molti reporter europei hanno cercato di cogliere il pensiero dei locali parlando con loro mentre percorrevano, come semplici passeggeri, le prime tratte aperte. Tutti più o meno hanno raccontato una realtà simile. Salendo a bordo è evidente lo stato di eccitazione dei messicani che per la prima volta prendono il treno. Un selfie dietro l’altro e video a raffica dal finestrino anche quando fuori non c’è nulla da vedere. Alla richiesta di un parere sugli impatti ambientali del progetto, la maggior parte delle opinioni si assomigliano: “Non è un problema, ma quale deforestazione?, non sono impatti così gravi come dicono, qualche impatto è inevitabile se vogliamo lo sviluppo”. Nessuno sembra essere particolarmente interessato agli aspetti economici e sociali o ai diritti degli indigeni. D’altronde, basta entrare in una delle 34 stazioni per capire lo sforzo che il governo sta facendo affinché i messicani si approprino del treno e lo sentano come parte dell’identità nazionale. “Todas y todos somos Tren Maya”, recita il messaggio che compare ovunque, sui video, sui social, sulle riviste, sui gadget per i viaggiatori.
Tra le popolazioni locali, i consensi maggiori al progetto arrivano dalle classi basse e medie, attratte dalla prospettiva di nuovi posti di lavoro. Qualcuno, perfettamente allineato col governo, parla addirittura di interessi economici che manipolano la gente per contrastare il treno. Molti albergatori, tassisti, guide turistiche sembrano consapevoli del prezzo che il territorio pagherà con l’arrivo del Tren Maya, ma tra loro prevale l’opinione che si tratti di un sacrificio necessario sull’altare dello sviluppo economico.
Eletto con il consenso più alto della storia messicana recente, López Obrador è un politico di sinistra incline al tradizionale populismo messicano, che ha sempre coltivato un’immagine da “uomo del popolo”. Il subcomandante Marcos, all’epoca della sua prima elezione, lo definì “l’uovo del serpente”, per indicare la sua indole liberista sotto il guscio progressista. Sospinto dal consenso popolare, il presidente si è permesso di usare il pugno di ferro con i detrattori del progetto a cui, nel 2019 durante un comizio nello Stato del Campeche, ha inviato un messaggio esplicito: “Con la pioggia, i tuoni o i lampi, che lo vogliate o meno, il Tren Maya lo faremo”.
Il rapporto tra il presidente le classi popolari è stato efficacemente descritto dal reporter cubano Dario Alemán: “I poveri, indubbiamente, vedono in lui un paladino contro l’oligarchia. Potremmo azzardare che gli vogliano addirittura bene, lo chiamano affettuosamente viejito (“nonnetto”) […]. Difficile biasimarli. Mai nessun altro politico ha portato avanti un programma sociale come quello di López Obrador, che ha aumentato le pensioni minime degli anziani, ha garantito sussidi bimestrali agli handicappati. E sebbene non si stia parlando di cifre astronomiche, nelle zone più arretrate del Messico fanno la differenza”.
La nuova presidente
E la neopresidente Claudia Sheinbaum? Cosa pensa del Tren Maya la donna, prima nella storia messicana, che il 1° ottobre del 2024 ha preso il posto di López Obrador? Considerata da tutti gli osservatori una “delfina” del vecchio presidente, Sheinbaum ha iniziato il mandato in piena continuità con il suo predecessore, continuando a inaugurare nuove tratte del Tren Maya senza perdere l’occasione di ribadire le prodigiose ricadute economiche e di sviluppo che l’opera porterà con sé. La neopresidente, scienziata del clima, ha anche continuato a sminuire le preoccupazioni ambientali legate al treno e ha contrattaccato chiedendosi dove fossero gli stessi ambientalisti che oggi contrastano il Tren Maya quando, nei decenni passati, lo sviluppo turistico ha trasformato la Riviera Maya causando enormi impatti ambientali.
Quella del Tren Maya è una vicenda esemplare dell’affermazione di un modello “estrattivista” di trasformazione del territorio, in cui gli interessi commerciali e finanziari sono predominanti rispetto a quelli collettivi.
Bárcena ha preannunciato l’avvio di un piano di ripristino ambientale che dovrebbe riguardare l’intero tracciato del treno e i cui costi, a detta del sottosegretario alla Biodiversità e al Ripristino ambientale del governo, Marina Robles García, dovranno essere assunti da “chi ha eseguito i lavori”. Tra le azioni più importanti del piano annunciate da Bárcena si prevede l’eliminazione delle recinzioni metalliche che ostacolano il libero transito della fauna, la protezione di caverne e cenotes e il divieto di costruire strade secondarie nella giungla per le attività turistiche: “Possono essere le comunità stesse ad aiutarci a ripristinare l’ecosistema forestale, invece di appaltare ai consorzi che sono coinvolti nel Treno Maya, aziende che vengono, piantano un albero e il giorno dopo muore”.
Una vicenda esemplare
In attesa che questa nuova sensibilità del governo messicano nei confronti dell’ambiente e delle comunità locali diventi realtà, il sogno del populista López Obrador prosegue spedito. Il prossimo obiettivo è l’estensione del tracciato del treno per raggiungere la città maya di Tikal, in Guatemala, e il 15 agosto scorso i leader di Messico, Guatemala e Belize si sono incontrati a Calakmul proprio per discutere dell’ampliamento della linea ferroviaria. Nell’occasione hanno anche annunciato la creazione di un’area protetta sovranazionale per proteggere l’intera foresta pluviale Maya. Con gli impatti del megaprogetto in Messico davanti agli occhi e il greenwashing in agguato, la cautela è d’obbligo.
Quella del Tren Maya è una vicenda esemplare, che assomiglia a tante altre che in America Latina e nel resto del mondo raccontano l’affermazione di un modello “estrattivista” di trasformazione del territorio, in cui gli interessi commerciali e finanziari, quasi sempre di pochi, sono predominanti rispetto ai diritti collettivi di natura ambientale, sociale e culturale. Un modello che ha i suoi esempi anche in Europa, dallo sfruttamento minerario dei territori Sami in Lapponia al ponte sullo stretto di Messina, e che afferma una visione produttivistica in cui il patrimonio culturale e naturale è usato come merce, come prodotto e in cui la sostenibilità dei megaprogetti viene valutata in termini quasi esclusivamente economici. Un modello di sviluppo che nega o nasconde qualsiasi discussione sulle conseguenze, in cui le grandi opere sono imposte senza un reale consenso, senza una coprogettazione con le comunità locali, generando forti divisioni al loro interno e una spirale di criminalizzazione e repressione di chi vi si oppone. Un modello che irrompe nei territori promettendo condizioni di vita migliori e finisce per alterarne profondamente gli equilibri, producendo enormi impatti sociali e ambientali che spesso si manifestano pienamente nel medio e lungo termine, quando ormai è impossibile porvi rimedio.